Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti: questo però è Paolo Conte e non il campionato. Il nostro calcio, semmai, è un mondo bambino dove si sbaglia da dilettanti. Occhi elettronici mandano fuori fuoco pupille umane, non c’è intelligenza artificiale nel Var, solo artificio: a volte, come nel caso di Milan-Bologna, non se ne sente la mancanza.
Un rigore cancellato, che c’era (per i rossoneri, lo ha ammesso anche il presidente della Figc), l’espulsione di Allegri, ingiustizia doppia con giacca rotante (ma ripiegata, stavolta), una citazione, «Dov’è Rocchi?», chissà se Allegri alla fine lo avrà trovato, a occhio no. Non esiste certezza nel diritto elettronico, ormai più umano degli umani nella sua fallibilità. Ma allora, il classico arbitro con occhi, fischietto e cartellini cosa ci sta a fare? È solo il cancelliere di un verdetto altrui, non poche volte errato? Il presidente Gravina ammette che gli arbitri, laddove manchi la tecnologia, “cercano riscontri”. Proprio lui, che li aveva sempre difesi con varie circolocuzioni: parole che pesano e arrivano presto. Perché gli arbitri sono fragili e insicuri. Un tempo portavano il calcio sulle spalle, adesso il futuro scientifico sta cancellando un presente privo di personalità, veri talenti e forse scuola. Cosa stanno producendo, le nuove generazioni arbitrali, se non il bisogno di una sponda tecnologica e la paura di essere contestati, e nelle serie minori braccati e menati? Qui servono adulti, se possibile professionisti.