Carlo Sassi: gli sia lievissima la terra e questo ricordo gli giunga al ralenti, per farlo durare di più come nel tempo (90’ più recupero?) durano l’affetto e la stima. Ci ha lasciati a 95 anni, e purtroppo l’azione non può tornare indietro, ma proprio in questo momento è giusto ricordare che Sassi inventò la moviola nel calcio (era il 22 ottobre 1967) come Alexander Fleming aveva scoperto la penicillina e gli antibiotici. Perché le muffe esistevano da sempre, e pure la moviola, che serviva per montare i film. Quello che fa la differenza, però, è l’uso: il genio è colui che sa trasformare l’ovvio in unico.
Il gol di Rivera e nacque la moviola
Carlo aveva capito che facendo andare avanti e indietro i fotogrammi delle immagini, l’azione dei giocatori di pallone era sottoposta a una specie di autopsia che rivelava molte pieghe e non poche piaghe del mistero e del dubbio. Gol o non gol? Fuorigioco? Chi ha fatto mano? Era rigore? Il primo casus belli (quella generazione conosceva il latino) fu un gol fantasma segnato (o no?) da Rivera nel derby. L’arbitro lo aveva concesso, ma il neonato marchingegno elettromeccanico lo aveva smentito. Da quell’istante, anzi da quel fermo immagine, il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso.
Il leggendario tecnico Vitaletti
Che grande compagnia, che formidabili protagonisti. Intanto Heron, ma anche Enzo, Sandro, Tito, Peppe, Bruno. Heron Vitaletti, il leggendario tecnico che muoveva la moviola e trasformava Carlo nel giudice supremo, nella Cassazione della serie A, quella che non scriveva sentenze retroattive ma diceva com’erano davvero andate le cose. Ne conseguì un’infinita stagione di sospetti, di ipotesi anche di corruzione o almeno di sudditanza psicologica, ma anche una maggiore certezza del diritto (in diretta!) che resta pur sempre un caposaldo della giurisprudenza. Compresa quella, bizzarra e a volte inessenziale, del calcio.
Sassi, il nonno del Var
Carlo, insieme a Bruno (Pizzul) e prima ancora a Enzo (Tortora), per non dire di Tito (Stagno) e Sandro (Ciotti), e naturalmente di Beppe (Viola). Un’epoca di giganti che passavano dalle parti del giornalismo e dello sport, e a volte ci restavano, altre volte emigravano altrove (il povero Tortora, ad esempio), altre volte ancora rimanevano per incidere un segno profondo anche se, magari, effimero, come fece Gianni Brera. Nel tempio del pallone, Carlo Sassi aveva l’ultima parola: oggi potremmo quasi considerarlo il nonno del Var. Con la differenza che lo strumento tecnico non aveva voce in capitolo, cioè non entrava ancora nel meccanismo della partita e del risultato, anche se si faceva sentire eccome. Per decenni, ben oltre quello storico 1967, si invocò la moviola in campo, lo fece il mitico Aldo Biscardi e alla fine la storia gli ha dato ragione.
Il calcio, il provino all’Inter, gli anni in banca
Carlo Sassi era un milanese di gran classe e cultura, nato a Milano il primo ottobre 1929. Attraversò quasi un secolo non solo di sport, dopo avere giocato a pallone non male (arrivò in C) dopo un provino all’Inter, e avere trascorso 9 anni in banca. Del bancario aveva la precisione e la fermezza, ma del vero giornalista possedeva il ritmo del racconto, la curiosità e il gusto per le storie, meglio se da riscrivere. Occhialoni grossi, giacca (non raramente di tweed) e cravatta, senso della misura in un mondo che si stava attrezzando a perderla: la tivù dei cialtroni, che tanto ha filiato e ancora produce il peggio di sé, non aveva cittadinanza negli studi della Domenica Sportiva. Carlo era entrato in Rai nel 1960, quando tutto stava per cominciare, e davanti alle telecamere (ma di più dietro, nell’ombra che non si mostra ma crea) passavano personaggi come Umberto Eco, Sergio Zavoli, Andrea Camilleri e Piero Angela. In mezzo a quella generazione di fenomeni, Carlo Sassi era un notaio di suprema credibilità.
Quando Lo Bello ammise di aver sbagliato
La storia della moviola è anche un po’ quella del costume sportivo, con il principe dei fischietti Concetto Lo Bello che proprio di fronte alla macchina della verità ammise di avere sbagliato. Ci furono, all’ombra della moviola, accuse e pentimenti, ragione e sentimento, delitto (spesso) e castigo (quasi mai). Carlo Sassi amministrava il sacramento prendendosi sempre sul serio, perché il calcio e il giornalismo lo sono, eccome, anche se talvolta si tende a dimenticarlo. Lo sguardo e la parola di Carlo restano nella memoria per dirci che un mondo migliore era possibile, e a volte lo è stato: adesso lo pensiamo al rallentatore dopo un fermo immagine, il campo si restringe, l’inquadratura sfuma nel tempo che passa. Anche i minuti di recupero sono finiti.