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Varriale licenziato dalla Rai: “Giusta causa”

Il licenziamento dopo i due procedimenti penali, uno in cui è rinviato a giudizio, l’altro arrivato a sentenza di primo grado

Enrico Varriale non lavorerà più in Rai, è stato licenziato. Fine di una carriera, al netto di prevedibili ricorsi, cominciata nel 1986 nella sede di Napoli e proseguita a Roma tre anni dopo, nella redazione sportiva del Tg3 allora diretta da Aldo Biscardi, dove è diventato l’inviato di punta de “Il Processo del lunedì”.

La decisione è arrivata oggi, comunicata ai colleghi con una nota firmata dal direttore dello Sport Paolo Petrecca. Poche ore dopo, una lettera ha raggiunto il giornalista per informarlo del provvedimento. Risoluzione «per giusta causa», è scritto nella missiva. Tre mesi fa il tribunale di Roma aveva condannato l’ex vicedirettore di Rai Sport a 10 mesi di reclusione, pena sospesa a condizione che frequenti con cadenza almeno bisettimanale un percorso di recupero per uomini maltrattanti. Perché Varriale è stato riconosciuto colpevole, almeno in primo grado, di stalking e lesioni.

Il secondo processo

Sono le stesse accuse da cui il giornalista si sta difendendo in un secondo processo, ancora in corso. Reati identici, denunciati da due diverse donne, tra il 2021 e il 2022. Per questo, spiegano dalla Rai, è maturato il licenziamento: «Vi informo che il rapporto di lavoro tra Rai e il collega Enrico Varriale — si legge nella nota diffusa ieri — è stato risolto per giusta causa». Una soluzione, si mormora tra i corridoi di viale Mazzini, legata anche a comportamenti che l’azienda ha valutato come violazioni degli impegni sottoscritti nel contratto.

La vicenda è complessa e, tra ricorsi e appelli, all’orizzonte si prefigura un braccio di ferro tra la tv di Stato e il giornalista. Due anni fa Varriale aveva anche portato la Rai in tribunale, accusando i vertici di averlo demansionato prima ancora che la giustizia facesse il suo corso. Successivamente, però, una sentenza è arrivata, seppur in primo grado e relativa solo a una delle due indagini che lo hanno coinvolto.

Dunque, una condanna e due procedimenti giudiziari.

Le aggressioni

Il primo, terminato, si riferisce a fatti avvenuti nell’estate di quattro anni fa. Un anno nero, ricordano gli investigatori negli atti: i «gravosi impegni del giornalista», «la sostituzione nelle telecronache della partita», «il procedimento disciplinare» per il mancato rispetto della quarantena durante gli Europei di calcio «e infine la mancata conferma come vicedirettore della testata giornalistica Rai Sport». Poi l’aggressione all’ex compagna: «La sbatteva violentemente al muro, scuotendole e percuotendole le braccia e sferrandole calci», è la prima accusa. Dopo avrebbe cercato di rientrare in contatto con la vittima, minacciando di poter incidere su una collaborazione giornalistica che la donna svolgeva. E poi appostamenti sotto casa e telefonate.

Circostanze che Varriale ha sempre contestualizzato difendendosi in aula, spiegando che ogni discussione sarebbe scaturita dalla sua volontà di stabilizzare la relazione e dalla frequentazione con un’altra donna. «Le ho dato uno schiaffo — ha detto l’imputato in aula — l’errore più grande della mia vita, se fosse qui le chiederei scusa, ma è l’unico episodio violento. Il resto è tutto falso».

Non ha convinto il giudice, che lo ha condannato anche per stalking.

Le molestie

Poi c’è il secondo processo, ancora in corso. A denunciarlo è stata un’altra donna che il giornalista frequentava. I fatti risalgono all’8 dicembre 2021. Una telefonata alla quale Varriale non ha risposto, un litigio tra i due e un ceffone al volto di lei. «Trauma cranico non commotivo», recita il referto dell’ospedale Gemelli.

Poi le molestie, incluse le telefonate del 19 dicembre, quando Varriale avrebbe chiamato la donna «utilizzando l’utenza della Rai Radiotelevisione, suo luogo di lavoro, oscurando il numero chiamante… pronunciando con voce contraffatta, nel corso della seconda telefonata, una frase del tipo: “Morirai”».

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