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Dai Thuram ai Mbappé: fratelli, pallone e quella linea sottile tra affetto e ambiguità

l gol di Ethan Mbappé al Psg e l’esultanza del fratello Kylian in tribuna riaprono il dibattito sui legami familiari nel calcio. Dai Thuram agli Esposito, la presenza dei fratelli in campo accende letture opposte

Questa storia dei fratelli ci sta sfuggendo di mano. Una volta sono i Thuram, un’altra gli Esposito, adesso sono arrivati pure gli Mbappé. Così, di nuovo, le immagini di Lille ci chiedono da quale parte stare, se nella schiera dei candidi o nel plotone che guarda il mondo con malizia. Succede che il più ricco e famoso si agita in tribuna, felice, molto felice, per il gol del più piccino, entrato al minuto 83 di una partita che la sua squadra sta perdendo, e al minuto 85 la pareggia. Tira un sinistro che non è proprio micidiale come quelli di Gigi Riva. Siamo più dalle parti della Gialappa’s. La palla ballonzola sul prato un paio di volte. Col primo rimbalzo passa tra le gambe di un avversario [Lucas Beraldo], col secondo manda fuori tempo il portiere [Lucas Chevalier]. Gol.

Lui, Ethan, il piccolo, corre verso la linea di fondo campo e fa segno di no, per favore, non mi abbracciate. Sta vivendo il tipico tormento esistenziale degli ex che segnano alla loro vecchia squadra, modello Quagliarella, e per giunta pure il portiere beffato è un ex compagno, chi lo sa, forse un amico, a sua volta inseguito dal dubbio che quest’anno lo perseguiterà ogni volta: ma Donnarumma l’avrebbe preso? Ethan non esulta, però col dito indica la tribuna, il regista è attento e qui la faccenda diventa più complessa. In tribuna siede l’altro, Kylian, soddisfatto con porzione doppia, e non lo nasconde. Alla schiera dei candidi si intenerisce il core, guarda che belli che sono, quanto sono legati. Viene in mente quell’altra volta, quando Ethan fece gol e si mise a celebrare l’evento come fa il maggiore, con le mani infilate sotto le ascelle. Il plotone che guarda con malizia si ferma invece sulla soglia delle commozione e pensa mmm, non sarà che tutta questa tenerezza è invece perfidia? Eh sì, perché la squadra che ha preso il gol al minuto 85 è il PSG, quella che Kylian, madre e padre hanno portato in tribunale per 55 milioni di euro di stipendi e bonus non pagati.

Le giornate di calcio stanno diventano un lessico famigliare. Bisogna conoscere rapporti e relazioni prima di stabilire quale sfumatura dare a un segno. Noi italiani ci siamo finiti dentro solo qualche settimana fa, con la storia dei Thuram che parlottano e ridono nel cuore di uno Juventus-Inter, condannati dal tribunale del popolo e dei boomer per non essere abbastanza avvelenati nel vivere il calcio. Anche lì ci siamo divisi tra quelli che si sono sentiti feriti e chi non ci ha trovato niente di male. Paolo Di Canio a Sky ha aiutato a decodificare meglio la scena, quel parlottio è avvenuto durante il Var, forse uno era convinto che l’arbitro al video sarebbe intervenuto e magari si è messo a scherzare con il fratello. Non ha riso dopo il gol subito.

Forse non siamo ancora pronti per accettare che i sentimenti siano una porzione di partita. Siamo stati formati e cresciuti con le dichiarazioni di generazioni e generazioni di campioni che riempiono la vigilia di frasi come “siamo amici, ma in campo no”, forse per posa, forse per convinzione. Da amici a parenti ci vuole un attimo. Lo disse Sergio Conceiçao di Francisco prima di uno Juventus-Milan. “Mio figlio? Un avversario”. Ma poniamo che ci scappi il gol: dentro – sotto sotto – nell’angolo remoto e inconfessabile chi vince? Il padre orgoglioso o l’allenatore insoddisfatto?

Forse tutt’e due, ma forse non siamo ancora disposti ad accettarlo. Sulla strada verso Clairefontaine, Kylian ha fatto una deviazione a Villeneuve-d’Ascq per andare a vedere il fratellino insieme al padre Wilfried. Così sotto i nostri occhi non c’è più [o non c’è solo] una famiglia felice, ma c’è una famiglia in causa con un club. E tutto quello che vediamo noi, le letture, i giudizi, i pregiudizi, pesano eccome sulle spalle di chi scende in campo. Bastava guardare il povero Ethan alla fine della partita, un po’ smarrito, perso, diviso tra la voglia di godersi il pareggio con la sua squadra e la gioia di rivedere i vecchi amici delle giovanili di Parigi, quelli come Senny Mayulu e Ibrahim Mbaye che lo abbracciavano. Traditori pure loro o dal 90esimo più recupero il sentimento è di nuovo consentito? E quale poi: solo quello puro dei cuori immacolati o anche quello di tenebra che vive nelle viscere?

Del resto i classici ci hanno preparato, da Abele e Caino fino a Romolo e Remo. Eschilo ci ha messo sotto gli occhi il mito del conflitto tra Eteocle e Polinice, Seneca porta l’odio tra fratelli fino al cannibalismo: i figli di Tieste vengono catturati per ordine di Atreo, uccisi con ferocia, cucinati e serviti a mensa per il padre ignaro. Che sarà mai un gol su un campo di calcio, secoli e secoli dopo tutto questo? Chissà se Mbappé ci pensava, quando una volta ha detto: “Sogno un figlio che odi il calcio”.

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