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Addio a Bruno Pizzul, il gigante che non urlava: l’Italia ha perso la voce

Il telecronista friulano è morto in ospedale a Gorizia, aveva 86 anni. A Cormons commentava ancora le partite per la gioia dei compaesani

CORMONS (GORIZIA) — Bruno Pizzul ha smesso di vivere quando ha perso la voce. Negli ultimi giorni, in ospedale a Gorizia, l’uomo che ha raccontato il pallone all’Italia faticava a parlare. Fino a martedì sera rispondeva sussurrando alla moglie Maria, al figlio Fabio e alle figlie Silvia e Carla, agli undici nipoti che gli sono stati vicini, sicuri di riportarlo nell’amata casa di famiglia a Cormons. Fino all’ultimo ha scherzato e si è preso in giro, lusso concesso da un’originaria signorilità. Da tre anni la sua schiena però si era piegata e le gambe non reggevano più la stazza che in gioventù lo aveva obbligato a giocare da stopper. Stava male, ma la voce che ci ha reso felici anche quando abbiamo perso, resisteva. Bruno Pizzul, smessi i panni del proprio personaggio, così andava avanti: giocava a scopa con gli amici di una vita, pedalava in bici tra le vigne del suo Collio e si faceva scarrozzare in giro da Maria perché non aveva mai avuto voglia di fare la patente. Su due schermi seguiva poi ogni istante di qualsiasi sport, a partire dalle bocce. Fino a quando anche il fiato, che ultimamente gli usciva solo in lingua friulana, gli ha detto che è stato “tutto molto bello” e ha chiuso le trasmissioni.

I funerali di Bruno Pizzul a Cormons

Sabato avrebbe compiuto 87 anni e assieme all’amico Edy Reja era atteso nel municipio del suo paese per la presentazione della tappa del prossimo Giro d’Italia, che raggiungerà Gorizia. L’altro ieri sera invece, all’improvviso, un’infermiera è entrata nella sua stanza in ospedale e ha capito che non si sarebbe più svegliato. Per l’Italia è come se avesse preso commiato un papà buono, che negli istanti felici gioisce più di te con la semplicità di un bambino e nei momenti di buio non smette di sorridere per nascondere il dolore imposto dal fallimento che chiamiamo vecchiaia. Per Cormons e per il Friuli Venezia Giulia il sentirsi orfani è invece qualcosa di ancora più profondo: in queste ore ricorda la perdita di una mamma, che non ti abbandona scegliendo di morire nel posto in cui è nata. Anche Bruno Pizzul, dopo una vita di lavoro nella sede Rai di Milano e in giro per il mondo, resterà dunque qui. Domani mattina a partire dalle 10 gli amici, gli esseri comuni non illustri, i colleghi giornalisti e l’universo dello sport potranno salutarlo nel Duomo di San Adalberto, a pochi passi dalla casa di via Conti Zucco. Alle 14.30 il funerale, celebrato dal parroco di Cormons, don Stefano Goina. Riposerà quindi per sempre vicino alla mamma Ada, maestra di cucito, e al papà Ferrino, storico macellaio del paese. Sono migliaia, da quando la notizia che la voce di Bruno non ci parla più, i messaggi del collettivo cordoglio nazionale. Uno per tutti, quello del calciatore che Pizzul ha amato di più, con l’eccezione del conterraneo Dino Zoff, che gli è stato fratello. «Ciao Bruno — gli ha scritto Roberto Baggio — mancherai a tutti, ma la tua voce riecheggia per l’eternità».

Gli amici di Bruno Pizzul

Per capire chi è stato quest’uomo nascosto dietro uno sportivo microfono globale è però necessario fermarsi nella sua casa, stare nella sua famiglia e sedersi nelle osterie del suo paese, in cui faceva tappa ogni mattina per leggere i giornali e scoprire lentamente cos’è la malattia del calcio. «Due settimane fa — dice Sergio Nardin, 84 anni, amico d’infanzia — era un mercoledì e Bruno, tifoso del Grande Torino, mi ha chiesto a che ora avrebbe giocato la sua Udinese. Uno come lui non poteva non ricordare che non siamo nelle Coppe: ho capito che lo stavo abbracciando per l’ultima volta». Al bar Mukerli, nell’osteria Caramella, nel suo rifugio dell’Old Station, tutti possono oggi raccontare di un giorno vissuto «con il Bruno», che nessuno chiama Pizzul. Da bambini, finita la guerra, tra italiani e sloveni lungo il confine c’era tensione. «Il parroco ci buttò un pallone di stracci — ricorda Giuseppe Coceancig — e ci disse di giocare insieme. Vedendo i figli correre ignari dell’odio, anche gli adulti accettarono di dimenticare».

La carriera di Bruno Pizzul

Non poteva saperlo, ma questo è stato il principio della sua carriera. Stopper dal piede ruvido nella Cormonese, poi nella Pro Gorizia e nel Catania in B, prima di tornare all’Udinese. «Mi ha fermato un ginocchio — rideva nel covo juventino di Luisa Mukerli — ma la verità è che ero afflitto da un tasso di broccaggine particolarmente elevato». Laureato in giurisprudenza, ha insegnato lettere alle medie di San Lorenzo Isontino e nel 1969 è approdato in Rai con regolare concorso. «Con lui — ricorda il figlio Fabio — c’erano Vespa, Frajese e Buttiglione. Siamo approdati nella Milano di Piazza Fontana e per 46 anni mamma e papà sono rimasti in affitto. Una follia, ma è la radice che nutre e risucchia ogni friulano».

Le ultime telecronache di Bruno Pizzul

Indimenticabili, qui, non le telecronache Rai diventate storia, ma quelle dal vivo fatte per i paesani: in piazza per la finale Italia-Inghilterra dell’Europeo, all’oratorio per le partitelle dei bambini, dietro le gostilne per le sfide a bocce tra coscritti. «Tra la sua gente — dice il sindaco Roberto Felcaro — non parlava di calcio, ma di vigne. Elegante e discreto, segnato dalla semplicità che lo costringeva a sentirsi imbarazzato dalla fama”». Un’ombra silenziosa negli occhi? Solo quando, leggendo il Messaggero Veneto per cui ha scritto fino a venti giorni fa, scopriva che in redazione gli avevano limato il pezzo. Gli amici ridevano e lui taceva. «Ciao Bruno — lo saluta Roberto Gajer, figlio dell’amico Antonio — nemmeno noi potremo più dire “ed è gol”. Però pensarlo sì e lo faremo sempre, sentendo ancora la tua voce, quando una palla va dentro».

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