LOS ANGELES — Nel luglio del 1994 al Rose Bowl di Pasadena, dove l’Inter affronterà il Monterrey, giocò ad appena 22 anni la finale di Coppa del mondo persa contro il Brasile. Ora Demetrio Albertini torna negli Stati Uniti per seguire il Mondiale per club, come legend Fifa. “Questo torneo mi incuriosisce molto. Da una parte, riconosco che oggi si gioca troppo. Dall’altra, vedere i grandi club europei sfidare squadre leggendarie del Sudamerica realizza il sogno di milioni di bambini, o ex bambini. È un’esperienza da PlayStation. Inter-River Plate è come un film con Batman e Superman nella stessa scena. Ma prima per la squadra di Chivu c’è il Monterrey, squadra tosta”.
Lei in quello stadio, contro il Brasile, il suo rigore lo ha segnato. Come si preparò mentalmente?
“A premiarmi fu proprio la mancanza di preparazione. Ero il più giovane del gruppo, era il mio primo rigore da professionista. Mi aiutò l’incoscienza. Il rigore è un gesto tecnico semplice, è quasi solo un fatto di testa, di emozioni. In quei momenti devi pensare a chi sei, non a quello che stai facendo, altrimenti è la fine”.
Aver fatto gol aumenta il rimorso per la sconfitta o la rende più sopportabile?
“Forse è un po’ più sopportabile, ma la sconfitta è di tutti. La sofferenza in questi casi è un bene comune. Non mi sono mai detto: ho fatto il mio. Ho invece spesso pensato a cosa avrei potuto fare per aiutare quella meravigliosa Italia a vincere, prima dei rigori”.
A parte i 38 gradi all’ombra, cosa ricorda di quel giorno?
“La partita era alle 12.30. Per riuscire a mangiare un piatto di pasta alle 9, ci svegliammo alle 7. Troppo presto, col senno di poi. Avevamo il jet lag da smaltire, venivamo dalla costa Est. Arrigo Sacchi era nervoso”.
Voi azzurri di Usa ’94 avete una vostra chat?
“No, non l’abbiamo mai fatta. Ho una sola chat di ex compagni, tutti del Milan, non ne ho altre. Eppure quel Mondiale creò legami fortissimi. I veterani mi aiutarono tantissimo a reggere la pressione: Baggio, Donadoni, Baresi, Tassotti”.
Nel 1994 il calcio negli Stati Uniti era considerato uno sport “da donne e messicani”, per citare una telecronaca americana del tempo. Oggi sono cambiate le cose?
“Al tempo avevano una visione poco rispettosa del calcio. Non lo capivano. Ora il soccer è cresciuto tanto, come la loro nazionale. Con Mondiale per club e Coppa del mondo 2026 faranno un ulteriore passo, ma penso che lì il nostro resterà sempre il quarto o quinto sport”.
Partecipano Inter e Juve, le squadre che più hanno rischiato con le scelte degli allenatori, in un campionato di grandi vecchi in panchina.“Non c’è la formula magica per vincere. Il grande vecchio non è detto che funzioni. Sicuramente Inter e Juve dovranno lavorare di più rispetto a Milan, Napoli, Roma e Lazio. Importantissimi per Tudor e soprattutto Chivu saranno gli staff. E il mondiale americano è un utile banco di prova”.
L’Inter ha perso malissimo la finale di Champions. Tornando a Pasadena ’94, come si supera una sconfitta del genere?
“Non si supera, bisogna conviverci. Il problema dell’Inter secondo me è stato fisico. Mancava la gamba. Il corpo è centrale nello sport, anche se ne parliamo poco. Si parla troppo di motivazione e poco di muscoli”.
Il suo Milan come sta?
“Le premesse non sono ottime. Siamo all’inizio di un cammino. Il mercato è all’inizio. La partenza di Reijnders non è indifferente. E vediamo cosa succederà con Theo e Leao. Ma le somme si tirano alla fine”.
La crisi della Nazionale come si risolve?
“I problemi sono gli stessi da tanti anni, li conosciamo e li tiriamo fuori a ogni mancata qualificazione. Esiste in Federazione un progetto serio per lo sviluppo dei settori giovanili e della parte tecnica. Il presidente lo ha in mano. È solo un fatto di volontà metterlo in pratica”.
L’Under 21 sembra promettere bene.“Il nostro sistema è ancora in grado si produrre buoni giocatori. Mancano i campioni, ma quello dipende dalla fortuna. I Maldini, i Totti e i Del Piero nascono, non si costruiscono”.
Lei realizza il motto di Mourinho “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Ha tanti interessi: il padel, il buon vino, la politica sportiva. Progetti per il futuro?
“Sono uscito da poco dalla Figc, sono in una fase di riflessione. Potrei lavorare con un club o lavorare ad altro. Di certo, con il padel vado avanti. Ha margini di crescita enormi. A Milano, in zona City Life, stiamo creando un progetto stupendo”.