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Aldo Agroppi, in panchina e in tv contro l’ipocrisia

L’ex giocatore del Torino ed ex allenatore della Fiorentina è morto a 80 anni all’ospedale di Piombino dove era ricoverato da qualche giorno. Celebri gli attacchi alla Juventus di Moggi e Giraudo e la litigata in diretta con Lippi

Aldo Agroppi gridava in campo, nella terra di mezzo dove si agitano le passioni e i destini delle partite, dove le tibie fanno scintille e i polmoni diventano carta straccia, e gridava anche in panchina, allenatore oltre gli schemi perché fuori dai medesimi. Gridava anche in tivù, prima che si affermasse l’orrendo termine “opinionista”: lui, semplicemente, era chiamato a dire cose senza ipocrisie o reticenze. Non incarnava il verbo, non piaceva a tutti, era diviso ma era autentico come una pepita d’oro.

Agroppi e il vero spirito del Torino

Da tempo malato, domatore di un cuore che sembrava poterlo tradire da un istante all’altro (in curriculum, anche un infartone) ma che non cedeva mai, Agroppi è morto a ottant’anni di polmonite: che destino beffardo, essere stato tradito dai suoi organi preferiti ed eponimi, la sua fabbrica di ossigeno e parole, i suoi favolosi mantici. Quanto li aveva spremuti, quei polmoni, da mediano (cfr. Ligabue), specialmente con addosso la maglia granata: il suo colore, inevitabilmente. Ogni vero uomo “da Toro” dev’essere segnato alla nascita, e Aldo Agroppi ebbe in sorte di esordire in A proprio nel giorno in cui, a sera, sarebbe morto Gigi Meroni, travolto da un’automobile: era il 15 ottobre 1967. Di quell’anima profonda, maledetta e dolente, ma anche orgogliosa e in fondo invincibile (mica vince solo chi porta a casa gli scudetti), Agroppi è stato tra gli interpreti più amati dalla gente: il tremendismo granata è nato ed è rimasto in vita (oggi è invece del tutto scomparso) grazie a gente così. Aldo è stato il vero erede in terra di Giorgio Ferrini, altro simbolo assoluto granata.

Agroppi e la Fiorentina, un rapporto tormentato

Nel tempo tra Superga (1949) e i gemelli del gol (1976), cioè tra il rogo in collina e lo scudetto di Pulici e Graziani, il Toro vinceva spesso i derby: in quei giorni, Agroppi diventò uno dei nemici storici della Juve e lo sarebbe rimasto sempre. Ma, con questo tigre nel motore, i granata vinsero anche due Coppe Italia. Il suo spirito indomabile, il toscanaccio di Piombino lo trasferì anche nella carriera di allenatore, luminosissima all’inizio: subito una promozione in A alla guida del Pisa di Romeo Anconetani, e la loro fu veramente una coppia epica, un duetto da terremoto. La grande occasione poteva arrivare a Firenze, dove però Agroppi non scese a compromessi ed ebbe scontri anche fisici con gli ultrà viola che gli rimproveravano di non idolatrare Antognoni. Una volta, toccò addirittura a Daniel Passarella, non proprio un giglio di campo, fare muro tra pubblico inferocito e tecnico assatanato. Poi Agroppi si ne andò, non poteva non farlo.

Agroppi e gli scontri in tv con la Juventus di Moggi

Cercava sempre lavoro e avventura in terre sanguigne, e fu così anche sulla panchina del Perugia, altro luogo ribollente, dove Agroppi centrò un’impresa che resta ineguagliata: una sola sconfitta in un intero campionato in B, nell’84-85. Ma il carattere non si cambia, e il fuoco non si spegne: in panchina, e poi davanti al microfono, Agroppi si mise di traverso nei confronti di troppa gente. Quando divenne un volto televisivo assai critico, la sua spietata sincerità lo potrò spesso ad attaccare la Juventus di Moggi e Giraudo, non proprio un esempio di virtù ma di vittorie sì, e fece epoca una sua litigata in diretta con Lippi. Tutto questo sarebbe costato ad Agroppi una progressiva eclissi, e il resto lo ha fatto il tempo. Ma il suo segno resta, non solo sulle gambe degli avversari.

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