MILANO — Quando è arrivato all’Inter, ventiduenne, Alessandro Altobelli a uno spillo somigliava veramente. L’ha lasciata undici anni dopo, con uno scudetto, una semifinale di Coppa dei Campioni e tanti muscoli in più. “Alla Juve sono grato, mi ha accolto nella stagione 1988/89. Ma la maglia nerazzurra non l’avrei mai tolta. Il vero juventino fu Trapattoni, che mi preferiva Ciocci. Inter-Juventus non sarà mai una partita normale”.
Che gara si aspetta?
“Calcio vero e tanti gol. Gli allenatori sono bravi, gli uomini in campo cercheranno di non fare rimpiangere gli infortunati”.
I numeri dicono che l’Inter attacca e la Juve difende.
“Di solito, vince chi difende meglio. Ma l’Inter avrà dalla sua San Siro”.
In quale attaccante delle due squadre si rivede?
“Lautaro, Vlahovic e Marcus Thuram mi piacciono. Ma per arrivare ai miei gol devono correre ancora un po’”.
Quale Inter-Juve ricorda con più affetto?
“Il 4-0 a San Siro del campionato ’79-’80. Segnai tre gol e servii un assist”.
Che emozione provò a incontrare l’Inter in bianconero?
“Non avrei mai voluto vivere quel momento, ma diedi il massimo”.
Il Napoli può prendere il largo?
“Vedo una corsa a tre fino alla fine fra Conte, Inzaghi e Motta. Per questo la partita di oggi conta”.
Dei suoi ex compagni di Nazionale, chi farebbe comodo all’Inter e alla Juve di oggi?
“Alla Juve Pablito, all’Inter Gentile”.
C’è un difensore che nelle due rose attuali avrebbe sofferto?
“Sono cresciuto con Vierchowod. Prima delle nostre sfide non dormivo, penso nemmeno lui. Bastoni, Acerbi e Bremer, a cui auguro ogni bene, sono forti. Ma quando ero in giornata era dura marcarmi”.
Ai suoi tempi Inter-Juventus era già una gara ad alta tensione, fra sospetti e polemiche arbitrali?
“Credevamo nella buonafede degli arbitri. Oggi leggo delle preoccupazioni per l’arbitraggio di Guida, ma penso se la caverà. Non sono squadre fallose né litigiose”.
Fuori dal campo con gli juventini eravate amici?
“Certo, anche se in campo ci si prendeva a pedate. Con Causio e Tardelli in particolare”.
Senza smartphone, avevate più libertà di movimento?
“Andavamo al ristorante, poco in discoteca. Anche con i cellulari non avrei avuto problemi. Rispettavo la regola di Bersellini: dal mercoledì tutti a letto presto”.
Cosa rimpiange di quel calcio?
“Non si giochicchiava in mezzo al campo. Il gioco era: o segni tu o segno io. Ne parlavo con Schillaci”.
Eravate amici?
“L’ho chiamato a lavorare con me per la tv in Qatar. In aeroporto, mi ha detto preoccupato: Spillo, non parlo né arabo né inglese. Capito che si faceva tutto in italiano, ha sorriso. Un campione e un uomo eccezionale, Totò”.
A chi deve il suo soprannome “Spillo”?
“A Latina, un maestro elementare veniva a vedere le partite e mi urlava pari uno spillo. Bei tempi”.
Per andare al Latina rifiutò l’offerta della Fulgorcavi.
“Avevo 15 anni. Nella squadra aziendale mi avrebbero anche assunto come operaio, ma mi convinse Nando, osservatore che girava in Fiat 127. Mi mise in mano 50 mila lire e accettai. Mio padre si preoccupò. Mi aveva trovato lavoro in macelleria. Per lui, muratore, era un lavoro tranquillo”.
Lei è nella hall of fame del calcio italiano. Poi: Rossi, Graziani, Pulici, Pruzzo, Virdis. Come nascevano attaccanti così?
“Giocavamo sempre e una buona tecnica era d’obbligo. Davanti a scuola c’era un burrone. Uno stop sbagliato e la palla finiva giù”.