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Amedeo Goria: “In un’agenda i nomi delle mie duemila amanti. Mi hanno massacrato, mi dispiace per Maria Teresa Ruta. La Rai? Ci arrivai per un caso assurdo”

Il noto giornalista si racconta. Dal matrimonio al successo in tv, dall’incontro con Berlusconi all’amicizia con i grandi campioni del calcio

Curiosità e leggerezza. Sono le parole che ricorrono più spesso in una chiacchierata con Amedeo Goria, 70 anni, nonno felice da pochi mesi, ex giornalista della Rai, ex marito di Maria Teresa Ruta, ex concorrente del Grande Fratello. Quella leggerezza che gli consente di parlare senza imbarazzi della fama che lo precede, lo accompagna e lo segue, divenuta pubblica quando l’ex moglie rivelò l’esistenza di un’agendina nera in cui aveva annotato i nomi di duemila amanti, classificate con una sorta di codice, “squallide crocettine con cui segnavo cosa avevo fatto o non fatto con queste donne. In tempi politicamente corretti mi hanno massacrato, ma a me è dispiaciuto tanto per Maria Teresa, per l’affronto che ha dovuto subire per queste mie frequentazioni che vivevo con grande faciloneria”.

Ha mai provato a spiegarsela, questa tendenza compulsiva al tradimento?

“Probabilmente è ereditaria: mio padre, che faceva il medico, era un farfallone. Nel matrimonio mi sono sentito inadeguato: se vedi le foto del giorno delle nozze, nel 1987, la mia ex moglie era bellissima, nel suo abito bianco, io portavo i baffetti, il viso più magro di adesso, il naso accentuato. Certamente non ero Brad Pitt, la gente pensava ‘che c’entra con lei questo qui?’ e forse è stata per me una rivincita quando, grazie alla notorietà, ho avuto maggiore facilità nell’incontrare persone dell’altro sesso”.

Certo, dimenticare in giro un’agendina così….

“Sono disordinato e gaffeur, ma non cattivo. Non ho mai voluto male a una persona in vita mia. Vorrei dare una mano a tutte le ragazze che ho conosciuto. Ancora adesso mi chiamano perché pensano che possa aiutarle: c’è chi ha problemi economici, chi ha difficoltà a trovare lavoro. Ma io ho tanti numeri di persone normali, nessuno di quelle potenti. Sono fatto così”.

Anche Silvio Berlusconi la conosceva.

“Quando prese il Milan, organizzò un incontro con i giornalisti nel centro sportivo di Milanello, dove dimostrò di essere dieci passi avanti a livello di comunicazione. Si era fatto dare dall’ufficio stampa le foto e un mini curriculum di tutti noi. Memorizzava le informazioni in un attimo: ti incontrava e e ti riconosceva. Arrivò il mio turno: ‘Ecco Goria della Rai’. ‘Amedeo, so che con lei posso parlare non solo di calcio’.”

Come è arrivato in Rai?

“Per un’omonimia. Nel 1987 un mio parente alla lontana, che era sindaco di un minuscolo paesino in provincia di Asti, mi segnalò alla segreteria di Giovanni Goria, che di lì a poco sarebbe diventato presidente del Consiglio per la DC. La segnalazione arrivò direttamente alla Rai di Roma e, visto il cognome, mi fecero firmare immediatamente un contratto a tempo indeterminato con il TG1. Giovanni Goria non ne sapeva nulla”.

Da dove nasce la sua passione per il giornalismo?

“Ero campione regionale dei 400 ostacoli, categoria allievi, e firmavo i resoconti delle mie gare sulla Sentinella del Canavese, il periodico di Ivrea, dove vivevo. Poi ho iniziato a occuparmi anche di calcio, partendo dal basso e salendo pian piano i gradini. Credo di essere l’unico giornalista ad aver scritto di tutte le categorie. Sono stato alla Gazzetta del Popolo dal 1974 al 1980 e a Tuttosport fino al 1987. Ricordo che quando ero lì una domenica era fermo il campionato di A e chiesi al redattore capo di mandarmi in un campo di B, perché era l’unica serie che ancora mancava alla mia collezione”.

A Tuttosport divenne amico di Platini.

“Un onore, perché Michel è un uomo intelligente e selettivo. Arrivò a Torino nel 1982, all’inizio soffriva di pubalgia, aveva qualche difficoltà e già qualcuno sosteneva che la Juve avesse sbagliato acquisto. Un lunedì di novembre mi convocò con due colleghi, Enzo D’Orsi del Corriere dello Sport ed Enrico Heiman della Gazzetta dello Sport. Con un jet privato e poi con una limousine ci portò a Saint-Cyprien, dove aveva aperto un centro sportivo in cui insegnava ai ragazzini a giocare a calcio. Ci mettemmo calzoncini e maglietta e ci fece vedere come si allenava con le sagome davanti per battere le sue famose punizioni. Platini conosceva perfettamente il suo corpo, ci disse che la domenica successiva, nel derby col Torino, avrebbe segnato un gol: e così fu, la partita finì 1-0. Non ho neanche una foto di quella giornata. Pensa come sono cambiati i tempi: adesso con un cellulare gireresti un documentario dal titolo ‘Una giornata con le roi Michel’. Lui fu uno dei primi calciatori a portare la maglietta fuori dai calzoncini. Aveva i fianchi un po’ larghi e fu l’Avvocato a suggerirglielo: ‘Io li coprirei con la maglietta’ (e imita l’inconfondibile erre di Gianni Agnelli)”.

La Juventus c’entra anche con il suo matrimonio.

“Fui io a dare a Maria Teresa l’indirizzo di Paolo Rossi, che lei voleva intervistare per Tuttosport. Paolino era un mio grande amico: anche a lui piacevano le belle donne e quando mi vedeva neanche mi salutava, si metteva immediatamente a ridere per la mia fama. Con lui ci vedevamo a un ristorante di Torino dove spesso mangiavano i calciatori della Juve: lui, Cabrini, Scirea, Cesarone Prandelli, ogni tanto veniva anche Marco Tardelli, che però un po’ se la tirava. Stavamo a pranzo insieme, senza filtri. Immagina se accadesse ora”.

Il calcio l’ha fatta conoscere. Ma la grandissima popolarità è arrivata con la conduzione di Uno Mattina, dal 1992 al 1997.

“Più di cinquecento puntate, per due anni a fianco a mia moglie. Da ipotiroideo quale sono, avevo sempre problemi a svegliarmi presto, era molto tosta. Non volevo mettere gli occhiali in diretta, le lenti a contatto non le ho mai usate e quindi, anche volendo, non avrei potuto leggere il gobbo. Scrivevo gli appunti su un foglietto e improvvisavo davanti alla telecamera. Sono sempre stato cartaceo, anche quando mi occupavo di sport. Ricordo un derby di Milano in cui dovevo produrre in velocità un servizio per La Domenica Sportiva. Mi misi al computer ma poi, maldestramente, schiacciai un tasto e cancellai tutto. Ho dovuto riscrivere a mano, con i capi mi pressavano e per buona parte sono andato a braccio”.

Quando è andato in pensione, nel 2021, ha partecipato al Grande Fratello.

“Dovevo andare all’Isola dei Famosi, ma poi mi trovarono delle extrasistole: avevo già 67 anni e la produzione non volle rischiare cause e richieste di risarcimenti. Poco dopo mi ha chiamato Alfonso Signorini e mi ha proposto il Grande Fratello. Ho accettato perché ormai è un po’ tutto sdoganato, tanto che ora Alan Friedman partecipa a Ballando con le stelle. Sono stato dentro alla casa un mese e mezzo, non ero un assatanato che voleva andare avanti a tutti i costi. Ho commesso qualche gaffe, come sempre, ma ho affrontato questa avventura con grande leggerezza. Come dico sempre ai giovani che mi avvicinano, bisogna tuffarsi con curiosità nelle nuove esperienze, che comunque ci arricchiscono. La vita è una sola e va vissuta fino in fondo”.

Ora la vive anche da nonno.

“Nel giro di 18 giorni, tra luglio e agosto, sono nati Noah, il figlio di Guenda, e Anita, la figlia di GianAmedeo. Guenda è venuta per un paio di giorni a Roma per lavoro e io dovuto fare i conti con i capricci di mio nipote. Alla fine però ho trovato la soluzione: quando piangeva, l’ho messo davanti all’opera luminosa del mio amico Marco Lodola e lui è rimasto incantato, con la bocca aperta e il nasino all’insù. Si chiama ‘Il Volto degli Altri” ed è anche sulla copertina del disco ‘Gli anni’ degli 883, che sono di Pavia come lui”.

Le piace girare per mostre e musei.

“L’arte è la mia passione senile. Quando è nato Noah, ho regalato a mia figlia un disegno di Giovanni Boldini, il pittore ferrarese emigrato a Parigi, protagonista della Belle Époque. È un mondo in cui mi immergo, ho anche speso molti soldi in quadri. Faccio una battuta: quando sono a una mostra non ascolto più nessuno, anche se mi si avvicinano per parlare di calcio o di donne”.

Come vive i suoi settant’anni?

“Non mi sento vecchio. Sono un salutista: non fumo, bevo molto poco e non ho mai assunto droghe. Mi lascia senza parole la quantità di cocaina che gira in Italia. Qualche giorno fa ero a Milano con un’amica, in un locale. Vado in bagno e vedo tre ragazzi e una ragazza che si appartano per pippare. È una vera emergenza sociale”.

E come si immagina tra dieci o tra vent’anni?

“A ottant’anni spero di essere ancora non dico come adesso, ma almeno proponibile. A novanta so che probabilmente non arriverò. Quando raggiungi la mia età, vorresti perpetuarti e inizi a pensare a cosa c’è dopo la vita. Provo invidia per chi crede, io sono un ateo alla ricerca di qualcosa che ci faccia continuare. Spero che almeno l’anima viva e che possa ritrovare, non so, Scirea, Rossi, Vialli, Schillaci, insomma gli amici che mi guardavano sempre con allegria e pensavano a me non solo come giornalista sportivo”.

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