TORINO – Per più di novant’anni gli arbitri non avevano più scioperato: capitò nel 1926 e ricapiterà questo week-end nel Lazio, dove la protesta dell’Aia bloccherà i campionati dilettantistici e giovanili com’era già successo, in forma minore, nel 2018. Un secolo fa si trattava di una questione etica adesso è invece un fatto di sicurezza, di salute, di ghirba da salvare: l’ultimo caso di violenza, di cui è stato vittima il trentenne Edoardo Cavalieri di Civitavecchia in Corchiano-Cellere di Terza Categoria (gli hanno rotto un gomito, trenta giorni di prognosi), ha fatto traboccare il vaso della rabbia. Perciò nel Lazio hanno deciso di farsi sentire, anche se l’idea dello sciopero, non condiviso a tutti i livelli, ha irritato i vertici regionali della Federcalcio, che alla fine s’è rassegnata a far slittare di una settimana ogni gara in calendario, ritenendo tuttavia la protesta esagerata: “Il Comitato Regionale del Lazio, di sua iniziativa, aveva già in animo, per sensibilizzare sulla problematica della violenza, di posticipare l’inizio delle gare di 15’ accompagnando l’iniziativa con un messaggio antiviolenza letto dai capitani, ma evidentemente ciò non è stato considerato adeguato”.
“È ora di dire basta”
No, agli arbitri non bastava il gesto simbolico, né quel baffo nero che tra oggi e lunedì i direttori di gara dalla A in giù si pittureranno sulla guancia, dopo quello rosso che richiama la lotta alla violenza sulle donne: nel Lazio hanno preferito una mobilitazione decisamente più pratica, concreta, rumorosa e sostenuta dai vertici nazionali. “È ora di dire basta” ha tuonato il presidente dell’Aia, Carlo Pacifici. “La violenza sugli arbitri, fenomeno da sempre grave nel calcio italiano, ha ormai assunto contorni insostenibili”. I dati parlano di 870 episodi di violenza, con 978 giorni complessivi di prognosi, nelle stagioni 2022/23 e 2023/24. In quella in corso siamo già a quota 165, e la statistica è aggiornata soltanto al 20 novembre. Tra l’agosto del 2022 e il giugno 2024, ci sono stati 180 casi di violenza fisica grave, 257 di violenza fisica, 62 di violenza morale, 89 tentate violenze e 282 condotte aggressive di vario genere, naturalmente concentrate per lo più nei campionati regionali. Ma colpiscono i 282 episodi (di cui 48 gravi, con 250 giorni totali di prognosi) nei campionati giovanili. Il Lazio è la regione che se la passa peggio, seguita da Sicilia e Lombardia. Nell’85-90 per cento dei casi, gli aggressori sono tesserati: dirigenti, allenatori, giocatori. Le squalifiche fioccano, i colpevoli possono anche essere colpiti da Daspo e le pene sono state inasprite, ma non sembra un deterrente: il trend è in crescita.
Il precedente del 1926
Lo sciopero e la protesta del baffo nero hanno la scopo di sensibilizzare, di attirare l’attenzione sul tema. Nel 1926 gli arbitri si ribellarono invece alla norma, introdotta dalla Federcalcio, che consentiva ai club di ricusare per l’intera stagione gli arbitri sgraditi, senza nemmeno spiegare perché: “Le Società non sono tenute a dichiarare i motivi della indicazione, salvo si tratti di casi di indegnità”. Intervenne il Coni, asservito al regime fascista, che ordinò la cessione immediata dello sciopero, commissionò la Figc, che venne affidata al gerarca Leandro Arpinati, e varò una serie di riforme (la cosiddetta Carta di Viareggio) che di fatto furono all’origine del calcio moderno, con il varo di un campionato nazionale e l’apertura al professionismo. Nessuno ha più potuto mettere all’indice un arbitro, almeno ufficialmente, ma gli insulti (quando va bene) e le botte (quando va male) non hanno mai smesso di prenderle, cent’anni fa come oggi.