Era dal primo maggio del 2019 che i tifosi del Barcellona non vivevano una serata come quella di ieri. Quel giorno Luis Suárez e Lionel Messi schiantarono il Liverpool mentre Ousmane Dembélé si “mangiava”, nei minuti finali, il gol più incredibile della sua carriera. Soltanto la Pulga, che lo mandò a quel paese visibilmente arrabbiato, capì in quello stesso momento quanto fosse importante segnare quella rete. E già, perché sei giorni più tardi, nel tempio di Anfield Road, i rossi culminarono, nella gara di ritorno della semifinale di Champions League di quell’anno, una delle rimonte più incredibili della storia recente del pallone.
L’inizio della fine del grande Barcellona
Quel 4-0 segnò l’inizio della fine dell’era del grande Barcellona cominciata con Pep Guardiola e Tito Vilanova e per perpetuata da Luis Enrique. In panchina c’era Ernesto Valverde che, già da qualche tempo, era costretto a fare l’equilibrista tra le esigenti pretese di vacche sacre oramai sul viale del tramonto e l’assoluta inadeguatezza del presidente Josep Maria Bartomeu che il 20 gennaio dell’anno successivo, nonostante fosse primo in classifica, esonerò il Txingurri scavando con le proprie mani, la sua fossa e quella del sogno barcelonista.
Il messaggio del Bayern
Da allora, infatti, la massima competizione continentale – ‘la más linda’, la più bella, secondo Messi – diventò un vero e proprio incubo per il club catalano che, abituato a essere considerato lo spauracchio dell’Europa intera, si è ritrovato a essere lo zimbello del vecchio continente. E alcune delle tante umiliazioni subite in questi ultimi anni sono arrivate proprie per mano del Bayern Monaco che, però, facendo il più classico degli errori, ha deciso, martedì scorso, di pubblicare sui propri social il video dei gol delle ultime tre vittorie ottenute in Catalogna tutte con lo stesso risultato, 0-3: “Per farvi entrare nella giusta atmosfera”, l’imperdonabile messaggio che ha finito per caricare a molla la squadra di Hansi Flick. Un ex di lusso, l’attuale tecnico del Barça che con i tedeschi ha vinto un Sextuple nel 2020 rifilando, pochi mesi dopo l’esonero di Valverde, otto gol al Barcellona di Quique Setién nei quarti di finale di Champions League disputati, causa Covid, a Lisbona.
I meriti di Flick
E la verità è che non si potrebbe spiegare e, quindi, capire la rinascita del Barcellona senza cominciare da Flick. Un allenatore tout court: uno che allena. Perché il Barça aveva bisogno di qualcuno che decidesse di allontanarsi dal circo mediatico per concentrare tutte le proprie energie sul campo d’allenamento. Una normalità che, negli ultimi mesi, non era più così normale per Xavi Hernández che, in pochi mesi, ha fatto dietrofront, dicendo che sarebbe andato via a fine stagione per poi ripensarci, pagando a caro prezzo quello del presidente Joan Laporta che, pochi giorni dopo averlo confermato, gli diede il benservito perché, nel frattempo, l’ex regista catalano aveva dichiarato pubblicamente che la rosa del Barcellona non era all’altezza di quella del Real Madrid e degli altri top team europei. Apriti cielo. Per lui si aprirono le porte dell’allora diroccato Camp Nou, dal quale venne sbattuto fuori senza nemmeno una stretta di mano. Anzi, da quando è arrivato Flick, Laporta non perde mai l’occasione di dedicargli le sue frecciatine: “Mi piace Hansi perché è uno che non si lamenta”.
Pedri: “Ora ci alleniamo più duramente”
E, per quanto istrionicamente lunatico, non si può davvero dire che il numero uno blaugrana non abbia ragione. L’ex ct della Mannschaft ha rigirato come un calzino la squadra, dimostrando che il problema non erano i calciatori, ma il modo in cui venivano utilizzati. Perché, per quanto il sempre troppo (talvolta, ai limiti del fastidio) modesto Pep Gaurdiola continui a ripetere – ogni volta che gli dicono la verità, ossia che è il migliore e che ha cambiato il calcio – che la differenza la fanno i giocatori, non si può fare a meno di notare che quanto successo a Barcellona negli ultimi mesi confermi, qualora ce ne fosse davvero bisogno, la centralità che occupa un allenatore in un progetto sportivo che punta a essere vincente: “Ci alleniamo molto di più e molto più duramente e questo si nota nelle partite”, la bomba sganciata da Pedri poche settimane fa.
Lewa macchina da gol, Raphinha leader
Il ritorno ai suoi massimi livelli del fuoriclasse spagnolo è uno dei principali segreti del risorgimento della squadra blaugrana che ha bisogno come il pane del suo palleggio e della sua chiaroveggenza. Flick, però, non ha recuperato solo lui, ma ha fatto miracoli con gente che i tifosi culé avrebbero mandato volentieri in pensione la scorsa estate. Non senza ragioni per farlo, considerato che le prestazioni di Robert Lewandowski e Raphinha, la scorsa stagione, avevano fatto pensare un po’ a tutti che entrambi fossero pronti per arricchire il parco vecchie glorie della Saudi Pro League di vecchie. E, invece, uno continua a segnare come se fosse tornato ai tempi del Bayern e l’altro si è improvvisamente trasformato, da mera comparsa, in uno dei leader della squadra come sa bene il Bayern a cui ieri ha rifilato una tripletta: “Non ho mai allenato un calciatore così”, ha fatto sapere il tecnico tedesco. E, probabilmente, è allo stesso tempo vero che nemmeno Raphinha ha mai avuto un allenatore come lui.
I giocatori recuperati
Jules Koundé, dalla sua, non solo ha accettato di buon grado una posizione (terzino destro) che odiava con Xavi, ma ne è anche diventato uno dei migliori interpreti a livello europeo. E che dire di Iñigo Martínez, altro pensionando che, invece, è diventato il kaiser della difesa culé mentre tutti si mettevano le mani nei capelli per l’infortunio di Ronald Araujo. Da quando Flick è arrivato a Barcellona, Eric Garcia è tornato a essere quel calciatore che aveva conquistato Guardiola a tal punto da volerlo con lui, giovanissimo, a Manchester e anche il talentuoso Pablo Torre si è riscoperto utile. Perché c’è bisogno della collaborazione di tutti.
Sabato il Clasico contro il Real
E già, perché alla vigilia del Clásico, in programma sabato prossimo al Santiago Bernabéu, non bisogna dimenticare che il primato in classifica in Liga e le buone prestazioni europee (sporcate solo dalla sconfitta in inferiorità numerica rimediata a Monaco) sono arrivate nonostante l’infermeria piena. Tuttavia, dove prima c’erano scuse e problemi, oggi ci sono soluzioni. Frenkie De Jong, Gavi e Dani Olmo sono fuori? Poco male, c’è un giovanotto della cantera che potrebbe tornare utile. E così, il mondo ha scoperto il ventenne Marc Casadó che, nonostante gli infortunati siano sanati, è davvero complicato immaginare in panchina. E prima di lui, lo sfortunato diciassettenne Marc Bernal che, prima dell’infortunio che lo ha messo ko per l’intera stagione, aveva rivoluzionato l’estate dei tifosi blaugrana convinti di aver trovato il nuovo Sergio Busquets. Pau Cubarsí e Lamine Yamal, invece, erano esplosi già con Xavi, ma la loro evoluzione così come quella di Fermin López è evidente e continua e, alla loro età, era tutt’altro che scontato, men che meno con un cambio in panchina.
Insomma, gli astri sembrano essersi allineati di nuovo e puntano dritto verso quel Camp Nou che all’inizio del 2025 dovrebbe riappropriarsi dei propri campioni e del rinnovato entusiasmo della sua gente. Il poker rifilato al Bayern Monaco rappresenta la conferma di quella che, nelle ultime settimane, era diventata molto più di una sensazione, perché era condivisa un po’ da tutti: il Barcellona è tornato e, finanze permettendo, da qui alla fine dell’anno si candida a tutto. Sì, anche alla Champions League.