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Bocale, in Calabria c’è una squadra Pro-Palestina. “Gattuso dovrebbe avere più coraggio”

La compagine dell’Eccellenza calabrese avrà sulle divise (non in campo, non è permesso) la bandiera palestinese. E il patron, che conosce il ct della Nazionale da tempo, gli chiede una presa di posizione più decisa

“Rino Gattuso lo conosco, ho frequentato lui e la sua famiglia. Credo si sia frenato o gli abbiano consigliato di farlo, ma oggi è necessario un po’ di coraggio”. Filippo Cogliandro è il patron e fino a qualche giorno fa presidente dell’Asd Bocale Calcio Admo, piccola squadra dell’hinterland di Reggio Calabria che milita in Eccellenza e da quest’anno sulla maglia avrà la bandiera della Palestina. I ragazzi non potranno indossarla in campo, la Lega ha detto che non si può. Ma su borsoni, divise, polo, merchandising si leggerà che il Bocale è “for free Palestine”, per una Palestina libera.

Il patron del club: “Iniziativa senza velleità politiche”

“Attenzione – dice Cogliandro – non c’è nulla di politico in quest’iniziativa, non abbiamo né queste velleità, ne questo ruolo. Crediamo che lo sport debba formare e in questo modo noi abbiamo voluto dire che quello che sta succedendo non è accettabile”. Anche a costo di attirarsi attacchi, critiche o magari – lo temevano alcuni – la perdita di qualche sponsor.

Il calcio come palestra di vita

Ma Cogliandro è un calabrese testardo, ci crede davvero che lo sport sia palestra di vita e una squadra non debba solo insegnare a tirare calci a un pallone. “È una cosa che sta nella nostra storia e nella nostra maglia. C’è scritto Admo, associazione donatori di midollo osseo e forse la nostra più grande vittoria – racconta – l’abbiamo raggiunta quando uno dei nostri ragazzi è risultato compatibile per un trapianto e non si è sottratto”. Certo, “abbiamo vinto anche la Coppa Italia e siamo la seconda squadra nella storia di Reggio Calabria – spiega con malcelato orgoglio – ma anche a costo di attirarsi antipatie è necessario prendere posizione. Informare. Spiegare”.

La commozione dei ragazzi di origine araba

Quando l’iniziativa è stata presentata ai ragazzi dello spogliatoio non tutti sapevano. Alcuni si erano limitati ad orecchiare qualcosa dal tg, sottofondo di cene e pranzi a casa. “Ma quattro ragazzi con genitori di origine araba si sono commossi, uno si è messo a piangere. Gli altri hanno ascoltato, chiesto, capito, non ce n’è uno che abbia detto no”. E fuori?

Non mancano i detrattori

I detrattori, anche se estranei alla realtà concreta del Bocale ci sono, con tanto di campagna stampa di un piccolo sito locale, ma alla fine non è certo la prima volta che squadra e società nuotano controcorrente. In un territorio in cui le squadre di calcio dilettantistico e non, nel tempo si sono scoperte agenzie di reclutamento o macchine di consenso per la ‘ndrangheta – che in alcuni casi le controllava direttamente – il Bocale è stato autorizzato ad entrare – e non è facile – nel carcere di San Pietro a Reggio Calabria o all’Istituto penale minorile a mostrare che un’altra vita è possibile. Nella società ci sono giudici di pace, carabinieri e la figlia di un noto ‘ndranghetista che ha deciso di cambiare vita e soprattutto di dare un’opportunità ai propri figli.

Accoglienza per tutti

E poi supporter, anzi – raccontano da giù – gli entusiasti dell’iniziativa sono di più di quelli che storcono il naso, tanto che la società sta pensando di donare tutti i proventi della vendita di maglie, borsoni e polo – stanno andando a ruba – a un’associazione che per Gaza sia in grado di fare qualcosa di concreto. Chissà, magari anche a ospitare ragazzi in fuga dalla Striscia che sognano o sognavano correndo dietro a un pallone. “Qui accogliamo tutti, lo abbiamo sempre fatto”, dice Cogliandro.

Il ricordo del Pelé palestinese

“La nostra -sottolinea – non è una rivoluzione, abbiamo semplicemente deciso di dire che una cosa non è giusta. E al netto della più ferma condanna del massacro del 7 ottobre, è evidente che quello che sta succedendo a Gaza è inaccettabile. Lo sa anche la gente”. In Calabria lo hanno scritto nero su bianco a Schiavonea, paesino natale di Gattuso, con uno striscione che recita “Rino non si gioca con chi uccide i bambini”. A Reggio Calabria lo ha reso palese la bordata di fischi all’indirizzo del presidente della Fifa, Gianni Infantino, un po’ perché accusato di “non aver salvato la Reggina”, un po’ perché a molti non è piaciuto e non piace il silenzio su Gaza, rimasto intatto anche quando a morire sotto un raid è stato il “Pelé palestinese”, Suleiman al-Obeid, ammazzato dall’esercito israeliano mentre era in fila per un pugno di farina. “Potete dirci come è morto, dove e perché?” ha scritto la star del Liverpool, Mohamed Salah, quando l’Uefa ne ha pianto il lutto, senza raccontare come sia morto. Non c’è stata risposta.

“A Gattuso dico che serve coraggio”

“E così non va bene – sbotta Cogliandro – Lo sport, se vuole davvero formare, dovrebbe avere un po’ più di coraggio”. Molte società, confida, hanno paura di essere penalizzate, temono di essere penalizzate, ricevere critiche, guadagnare inimicizie. “Ma ai ragazzi dobbiamo dare un messaggio. Anche per questo a Rino consiglierei di non dimenticare chi è e chi è sempre stato. Il suo pensiero un po’ lo ha fatto intendere, ma oggi bisogna avere coraggio. È questione di umanità”.

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