I tremila tedeschi del muro giallo si saranno chiesti cosa ci fosse da festeggiare, già prima della gara, con quel tripudio di luci e coreografie (splendida quella dei Distinti, costruita con mantelline rosse e blu), per sostenere una squadra che di fatto stava salutando la Champions. Ma nel calcio, come a teatro, conta più l’uscita di scena che l’entrata. E il Bologna s’è congedato da un Dall’Ara listato a Champions proprio come aveva chiesto Italiano, vincendo questa “finale” valida solo per l’orgoglio (poiché la classifica dice che la qualificazione è ormai andata, anche vincendo a Lisbona il 29).
Il 2-1 in rimonta sul Borussia Dortmund, pallida copia dell’era Klopp o di quello che batteva la Juventus di Lippi, rompe un tabù durato 61 anni, tanti quanti ne sono passati dall’ultima vittoria in Coppa dei Campioni. E alla fine spiace che la festa se la siano goduti tutti tranne il veterano Orsolini, uscito dal campo alla mezz’ora piangendo come un bambino cui fosse stata svelato l’arcano di Babbo Natale: sognava da una vita un gol in Champions, ma è stato tradito da una coscia. Il suo sogno era poi quello di tutti i tifosi stipati nel freddo, a sperare in un trionfo buono da custodire per sempre, da oggi alle future Coppe. L’impressione è che per la prossima Champions non ci sarà da aspettare sei decadi, visto il piglio con cui il Bologna ha cercato di ripianare le delusioni accumulate nella crociera dei super ricchi. Partiti malissimo i rossoblù, con l’ingenuità colossale di Holm, che ha tirato la maglia di Anton in area, facendosi fischiare un rigore dopo un quarto d’ora (Skorupski stava per intuire la traiettoria del cucchiaio di Guirassy, senza imprimere forza alla respinta).
Ma il Bologna di ieri è stato più forte anche delle sue lacune. Reazione rabbiosa: un rigore reclamato da Ndoye, un tiro di Ferguson deviato in extremis, un salvataggio disperato di Durenville e un missile di Orsolini su cui Kobel ha giganteggiato, tutto questo ben prima della mezz’ora. La precoce uscita di scena del 7 rossoblù, sostituito dal diafano Iling Junior, ha alterato gli equilibri in fascia, azzerando la pericolosità in fascia, ma col senno del poi questo passaggio sarà fondamentale. Nell’intervallo Italiano è corso ai ripari inserendo Odgaard al posto dell’ammonito Freuler e poi Lucumì per Casale per analoghi motivi disciplinari. Al 62’ le ultime cartucce offensive si sono esaurite con l’ingresso in campo di Dallinga al posto di Castro. Sembrava il solito copione, ma stavolta l’olandese aveva altri piani: il primo pallone toccato, al 71’, è stato quello del pareggio (un comodo tap-in su perfetto invito di Odgaard); il secondo, invece, ha propiziato la respinta di Kobel su cui Iling ha raddoppiato in un amen, lo stesso Iling che fino a quel momento era stato platealmente il peggiore dei rossoblù. Nelle casse del club la vittoria farà entrare 2.1 milioni di premi Uefa. Ma nella gioia commossa del patron Saputo c’era ben altro. Anche per lui, che dieci anni fa aveva promesso di farsi rispettare in Europa, è stata una serata indimenticabile.