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Bologna-Milan non si gioca: verrà recuperata chissà quando

La ventilata ipotesi di giocare in un’altra città o al Dall’Ara a porte chiuse è stata scartata. E ora si rischia di giocare, se va bene, a fine febbraio

Come ai tempi del Covid, quando Asl e prefetture si rimpallavano le competenze su una partita, un’ordinanza diventa il pomo della discordia intorno a cui il consesso del calcio italiano finisce per litigare. Ci sono volute due riunioni del Consiglio della Lega Serie A per capire cosa dovesse essere di Bologna-Milan. Alla fine ha vinto il sindaco di Bologna, Matteo Lepore. Non si gioca. Il presidente del Milan Paolo Scaroni ha lasciato la Lega furibondo: «Una decisione inspiegabile».

La prima data utile è lontanissima

Il calcio si è diviso anche su questo. All’origine, un problema: le regole dicono che la partita va recuperata “alla prima data utile” (Atalanta-Como quest’anno si è disputata il giorno dopo), ma la prima data utile sarà, forse, il 28 febbraio. Tra quattro mesi. Sempre che nessuna tra Milan e Bologna vada ai play-off di Champions: altrimenti, chissà. Alla Lega Serie A era venuta un’idea che poteva mettere d’accordo l’ordinanza e la necessità di non intasare ulteriormente il calendario: giocarla subito, ma su un campo differente. Empoli, oppure Como o Verona. Se ne è parlato dalla mattina di ieri. Ma sulla materia decide il Consiglio di lega e il Consiglio, composto da 5 presidenti e da 3 indipendenti (ne fa parte Scaroni: si è astenuto) si è spaccato. La maggioranza ha votato il rinvio. Alla fine di una partita che è prima di tutto politica. E che ha coinvolto anche squadre non direttamente interessate dal rinvio della partita.

Il Milan voleva giocare, ma ora non avrà Theo e Reijnders per il Napoli

Il Milan voleva fortemente giocare: ha due giocatori squalificati, Theo Hernandez e Reijnders, col rinvio di Bologna-Milan i due non sconteranno la squalifica e salteranno quindi la partita successiva, lo scontro con il Napoli capolista. I rossoneri si erano resi disponibili a giocare ovunque. Il Bologna insisteva per non giocare perché senza pubblico sarebbero stati penalizzati i suoi abbonati, la squadra e la raccolta fondi per gli alluvionati (che sarà spostata sul recupero di febbraio). Ma tra le due riunioni c’è stato chi, come Lotito, storico alleato di De Laurentiis, faceva campagna per il rinvio.

Lo stop come mossa politica

Quindi non si gioca. I tifosi avevano già detto che non sarebbero andati, la zona dello stadio è tra le più colpite della città, ha visto crolli anche a 30 metri dall’impianto, per il sindaco era pericoloso giocare con 35 mila spettatori in quell’area. Eppure chiudere il Dall’Ara ai tifosi avrebbe risolto il problema di ordine pubblico. Invece Lepore ha deciso di vietare la partita, quasi tagliando fuori il prefetto. Di sicuro è in corso un braccio di ferro tra la giunta di sinistra, che ha chiesto lo stato d’emergenza, e il governo Meloni, che non lo ha ancora concesso. E fermare il pallone ha prodotto un’eco nazionale. Come nel 2020, quando l’Asl decideva il destino di Napoli-Juve. Chi più di tutti era contraria al rinvio della partita è la Lega Serie A. Per i problemi di calendario, certo. Ma anche perché la decisione di Lepore apre a un precedente. Ossia la possibilità che la politica decida la data di una partita di calcio. L’ipotesi di un ricorso al Tar, ventilata da qualcuno, non è mai stata presa in considerazione.

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