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Bologna senza più totem: l’incognita delle novità

Prima volta tra le regine d’Europa ma orfana di Motta e Zirkzee, Italiano punta sui big

Il portentoso Bologna della scorsa stagione ha perso Thiago Motta mentre ancora festeggiava il quinto posto, si è visto sfilare Zirkzee malgrado avesse una Champions con cui ingolosirlo (il Manchester United quest’anno non la gioca), ha acconsentito alla cessione di Calafiori perché l’offerta dell’Arsenal era di quelle che non si possono rifiutare e non ha riscattato Saelemakers malgrado il costo abbordabile, unica decisione inspiegabile. L’esodo dei principali protagonisti di un film stupendo era in fondo previsto, anche se la forza economica di Saputo unita alla buona gestione del club non lo rendeva necessario: se Motta e Zirkzee avessero voluto concedersi una stagione di Champions col Bologna — una vacanza cinque stelle in un borgo anziché una metropoli — sarebbe stata trovata la quadra. Ma il futuro ha bussato alla loro porta, e nessuno li ha biasimati per questo: come si dice in amore, è stato meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati.

Il problema del nuovo Bologna è che deve controllare la frenata provando a godersi comunque il panorama, e riavviando il ciclo virtuoso che da Mihajlovic a Motta l’ha portato a godere di una simile vista. Non è un affare semplice, come le prime due giornate hanno dimostrato, ma la riserva di miele accumulata è considerevole: la gente di Bologna dimostra gratitudine, che non va mai data per scontata, ed è fiduciosa nell’abilità di Sartori nel trovare nuovi talenti dove non li cerca nessuno. Fissare i traguardi stagionali non è difficile: il Bologna potrà dirsi felice se a fine campionato sarà rimasto nel giro delle coppe europee, e se in Champions si sarà guadagnato il playoff di febbraio, evitando quindi gli ultimi dodici posti del classificone, quelli che ti eliminano dopo la prima fase. Non sarà semplice, ma la spensieratezza aiuta. Tutti affronteranno il Bologna pensando di doverlo battere a tutti i costi, e qualcuno finirà per innervosirsi.

La scelta dell’allenatore è caduta su Vincenzo Italiano per due motivi. Il primo è tecnico: il calcio che predica è diverso da quello di Motta, ma non poi così tanto. È più verticale e meno paziente, laddove l’italo-brasiliano ama consolidare il palleggio prima di andare all’avventura, ma la filosofia di base resta l’affermazione del proprio gioco attraverso la gestione del pallone, come testimonia il dato del possesso — 62 per cento — anche in una serata buia come quella di Napoli. Il secondo motivo per cui Italiano è una scelta sensata riguarda l’esperienza europea accumulata a Firenze: due preliminari passati, due gironi superati, la bellezza di sette turni a eliminazione diretta vinti. È vero che ha poi perso le finali, ma in due sole stagioni Italiano si è costruito un know-how di duelli per cui la maggior parte dei suoi colleghi impiega una carriera, se basta. La Champions del Bologna è essenzialmente immagine, avere una guida che sappia dove mettere le mani è prezioso. Italiano piuttosto a Firenze non è riuscito a gestire bene il doppio impegno, riscuotendo in campionato meno di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi: dunque la sua sfida è essenzialmente questa.

Le venti conclusioni della prima partita contro l’Udinese e quell’unica (ma ghiotta) mancata da Castro contro il Napoli hanno restituito la sensazione di una squadra alla ricerca di nuovi equilibri. Forse un giorno parleremo del Bologna 2023/24 come di una Graceland per aver visto il passaggio contemporaneo del giovane allenatore Motta e del giovane attaccante Zirkzee, divenuti nel frattempo due messia del football: non sarebbe più strano del fatto che la quinta città dell’Ohio, Akron, abbia visto nascere negli anni 80 prima LeBron James e poi Steph Curry. Se andrà così, gli storici sorrideranno delle pretese di ricreare in fretta una magia analoga, o almeno vicina. Però oggi ci sono, e quindi le direttrici sono due: la valorizzazione di chi è rimasto, e l’inserimento di talenti nuovi.

Sul primo fronte, in attesa del fondamentale rientro di Ferguson — gli infortuni possono avere un lato positivo: così non ha avuto tentazioni — l’uomo che deve conquistarsi uno spazio fisso è Fabbian. Poi, il senso di Italiano per le ali troverà ispirazione nelle conclusioni di Orsolini, che deve salire da 10 ad ameno 13 gol senza rigori, e nel talento sottile di Ndoye, un’ode futurista a leggerezza e velocità, uno di quelli che passano attraverso i muri smaterializzandosi, ma davanti alla porta sprecano come se il gesto di far gol esprimesse volgarità dell’animo.

Il capitolo acquisti ha richiesto troppo tempo per essere completato, specie al centro della difesa dove gli inseguimenti a Hummels (e vabbé) e Logan Costa (mah) sono costati inutili settimane. La triangolazione di mercato che ha portato Iling-Junior potrebbe rivelarsi benedetta. Aspettiamo infine di capire se la maledizione del centravanti lanciata su Italiano dopo la perdita di Vlahovic verrà sanata da Castro, o dal nuovo olandese Dallinga, che pure non è Zirkzee, come dicono tutti. Ma chi è Zirkzee, a parte il magnifico Joshua?

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