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Bove e Cataldi, destini incrociati: ieri avversari e oggi insieme a Firenze

Entrambi ceduti da Roma e Lazio, i due ex si sono lasciati alle spalle migliaia di cuori (social) infranti. E qualche polemica

Stessa maglia. Viola. Stesso campo. L’Artemio Franchi. Stessa città. Firenze. A 300 chilometri dalla Capitale che li ha cullati, coccolati, cresciuti per poi idolatrarli, invitandoli a entrare nello stesso Olimpo dei miti Francesco Totti e Alessandro Nesta per mozione popolare. Ma la scalata di Edoardo Bove e Danilo Cataldi è durata meno del previsto. Qualcosa si è rotto. Si è spezzato, come la voce dell’ormai ex giallorosso davanti alle ultime domande da cittadino romano: «Mi dispiace per come è andata, credo che io e i tifosi romanisti meritassimo un finale differente».

Groppo in gola. Sullo sfondo la stazione Termini e nella testa la Fiorentina e Firenze, tanto vicina ma pure tanto lontana dalla vita che c’era prima, dalle abitudini romane. Eccoli Bove e Cataldi, assieme dalle parti del cerchio centrocampo, per 11 minuti. Fianco a fianco per tenersi stretta quella Serie A che Roma e Lazio, sulla spinta dei venti del calciomercato, a fine agosto hanno deciso di negare ai loro figli. Contro la loro volontà e contro quella dei tifosi.

Così due vite da mediano sono finite sul campo dei destini incrociati, stavolta col volto rivolto verso la Fiesole e la sensazione che il bisogno di cancellare in fretta dai pensieri i tifosi delle curve Sud e Nord diventerà presto un imperativo se la dimensione da frequentare è quella del professionismo. In bocca al lupo, perché i social — presenza invasiva nella vita del calciatore — sono ovunque. E da giorni suonano come un disco rotto. «Tornerai», dicono i romanisti a Bove. «Ci ritroveremo», scrivono i laziali a Cataldi. Chissà per quanto andrà avanti.

Per darsi una risposta, basta guardare al passato recente. Alle belle imprese sportive, intrise di senso di appartenenza, che hanno segnato la carriera dei due nuovi viola. Negli occhi dei biancocelesti c’è ancora la parabola magica con cui Cataldi regalò alla Lazio la Supercoppa italiana contro la Juventus di Cristiano Ronaldo. In quelli dei giallorossi la rete tutta cuore e grinta di Bove contro il Bayer Leverkusen nell’ultima cavalcata europea di Mourinho. Rete nel match di andata, sofferenza al ritorno. Muscoli e grinta per il «cane malato» dello Special One. Caratteristiche che, pure se non sei Totti o Daniele De Rossi, aprono facilmente i cancelli dei cuori dei tifosi.

De Rossi, appunto. Con l’arrivo della bandiera sulla panchina della Roma, Bove ha trovato sempre meno spazio. Fino alla cessione dopo gli zero minuti collezionati nei primi due match di Serie A. Altro che Olimpo, il club ora è quello popolato dai Riccardo Calafiori, Davide Frattesi e Gianluca Scamacca. Prodotti del vivaio, come Bove. E come Niccolò Pisilli.

Altro mediano, altro incrocio. Uno parte, l’altro diventa titolare ed esce indenne dalla prova dello Stadium. Le emozioni si mescolano, si confondono. C’è tanto romanismo sparso qui e là per i campi di Serie A e ricomporre il puzzle non è facile. Non lo deve essere nemmeno per Danilo Cataldi. In lizza per la fascia da capitano, si è trovato sul mercato. Poi ceduto, nelle stesse ore di Bove, alla Fiorentina pigliatutto. «Amare vuol dire esserci sempre, ma a volte anche lasciar andare. Per me la Lazio è sempre venuta prima di tutto e ho sempre lottato per il suo bene. Non avrei mai immaginato un epilogo così», ha scritto su Instagram firmando il post di addio a Formello «con lazialità».

E un generoso pizzico di incredulità, forse l’unica vera sensazione comune in questa storia che lega polpacci milionari a milioni di tifosi. E fa un po’ male. Come le lacrime di Bove a Budapest, abbracciato dalla Sud in trasferta. Come le corde vocali lacerate dalle esultanze per i derby vinti dalla Lazio di Cataldi. Sotto la Nord, con gli occhi stravolti d’amore. Ora, ultimo viaggio social, si volta pagina. Ed è viola. Come i cuori digitali dei due ragazzi di Roma: «Non ti lasceremo mai».

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