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Brambilla, il mister del miracolo Juve Next Gen: “Merito di lavoro e spensieratezza. La B? Vedremo”

A novembre ha sostituito Montero e da allora la squadra è passata dal rischio retrocessione ai playoff di LegaPro, che iniziano domenica con il Benevento: “L’obiettivo primario è raggiunto, la crescita è evidente. I più forti che ho allenato? Kulusevski, Huijsen e Yildiz: in under 23 si capiva che erano di un’altra categoria”

Domenica sera al Vigorito di Benevento, la Juventus Next Gen giocherà il primo turno playoff di LegaPro. Un traguardo incredibile se si considera che qualche mese fa i giovani bianconeri erano a un passo dall’ultimo posto. Dal suo ritorno a metà novembre a Vinovo, al posto di Montero, e a pochi mesi dal primo biennio, Massimo Brambilla ha riportato al nono posto la Juventus qualificandola per la corsa alla Serie B.

Brambilla, dalla zona retrocessione ai playoff in 20 partite. Qual è il suo segreto?

“Nessun segreto, solo lavoro. Paga sempre, soprattutto con giovani come i nostri che devono crescere. Poi si è incanalato tutto nel verso giusto, ci siamo tolti subito dalla zona pericolosa e sono venute fuori le nostre qualità con la testa più sgombra”.

Ci pensate alla Serie B?

“L’obiettivo primario è stato raggiunto, la crescita della squadra è sotto gli occhi di tutti. Il secondo obiettivo erano i risultati e ci siamo salvati vista la situazione di classifica a un certo punto della stagione. Ora siamo ai playoff, ragioniamo alla giornata: pensiamo al Benevento, non andiamo oltre. Poi vedremo che succederà”.

Che sfida si aspetta con il Benevento?

“Bella per il contesto, per il valore dell’avversaria, che punta ad andare in Serie B dopo un campionato di vertice. Sarà dura, saremo obbligati a vincere dalla formula, ma abbiamo dimostrato di potercela giocare con tutti”.

Quanto è importante vincere nella crescita di un giovane?

“Aiuta a crescere trovarsi in difficoltà e riuscire a superarle. Quest’anno i ragazzi ne hanno trovate, poi con il lavoro le abbiamo superate: la crescita è stata evidente”.

Quali i vostri punti di forza nei playoff?

“Nelle partite secche l’esperienza conta tanto. La nostra forza è la spensieratezza, giocare con poca pressione. Stiamo bene, siamo giovani e l’aspetto mentale può fare la differenza”.

Quando nascono le seconde squadre, c’è spesso la levata di scudi delle altre società di LegaPro. Poi durante la stagione molte falliscono, altre vengono penalizzate, falsando il campionato. Cosa ne pensa?

“Per i club di alto livello è uno scatto di crescita fondamentale per i ragazzi. C’è poi il punto di vista delle altre di LegaPro: tolgono effettivamente qualche posto ad altre piazze, magari importanti. Però la dimostrazione, anche quest’anno, è che ci sono stati tanti problemi dal punto di vista economico con penalizzazioni”.

Ha allenato nelle giovanili dell’Atalanta. Quali le differenze?

“Sono progetti a lunga scadenza, si crede nel settore giovanile, lo si vive come una risorsa e non come un costo come può succedere in altre piazze. È fondamentale per fare gli investimenti giusti”.

Si vede subito un giocatore di alto livello?

“Ci sono talenti diversi dagli altri, quelli puri li vedi subito. Con loro devi probabilmente lavorare più sull’aspetto mentale, fargli capire che bisogna lavorare duro, fare sacrifici. Poi c’è il resto, la grande maggioranza, su cui bisogna incidere fisicamente, mentalmente e tecnicamente”.

Cosa ha notato quando ha visto per la prima volta Yildiz?

“Che è diverso dagli altri, lo vedi da come tocca la palla, come si muove, come gioca. Oggi però, nel calcio di alto livello, anche l’aspetto fisico è importante: devi avere gamba, essere esplosivo, crescere fisicamente”.

Chi l’ha colpita di più nella sua carriera?

“Nell’Atalanta ho avuto Kulusevski, era un ragazzino dell’Under 17 e poi è salito in Primavera. Poi Yildiz e Huijsen: quando sono arrivati in Under 23 ho capito subito che erano di un’altra categoria”.

Invece da calciatore?

“A quei tempi giocavo con Zola, con Baggio. Era una Serie A di livello altissimo. Talenti assoluti, uno spettacolo vederli giocare”.

Torino è stata spesso centrale nella sua carriera, avendo giocato nel Toro e adesso allenando la Juve. Le piace come città?

“La vivevo di più quando da calciatore, avevo più tempo libero. Da allenatore passo tanto tempo a Vinovo, studio, mi aggiorno. Ma è cambiata in meglio”.

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