Sembra una mattanza. Di certo quelle immagini sono sempre più frequenti, soprattutto in questa fase della stagione. Il ginocchio che si gira, il volto segnato da una smorfia. E poi il verdetto, spietato: rottura del legamento crociato. L’incubo di ogni calciatore. Oggi Duvan Zapata del Torino potrebbe diventare l’ultimo nome di un elenco in cui compaiono già Rodri del Manchester City, Bremer della Juventus, Carvajal del Real, forse il peggiore di questi infortuni perché traumatico: l’immagine della gamba piegata in una posa innaturale nella partita di sabato contro il Villarreal gela il sangue.
Su 8 giocatori pesa il 50% dei minuti di una squadra
Se vi sembra che gli infortuni siano sempre più frequenti, nel calcio, non è un’impressione sbagliata. E l’usura è un fattore determinante nell’aumento dei problemi fisici. Tra nazionali e club, un giocatore di vertice può arrivare a giocare oltre 70 partite stagionali: secondo gli esperti nessuno dovrebbe andare oltre le 55. E la metà dei minuti giocati da una squadra pesano su 8 giocatori soltanto, in media. Si gioca ogni 4 giorni e mezzo, e ai chilometri in campo si sommano quelli di viaggio: più trasferte, ma anche tournée transoceaniche in estate. Un calciatore che abbia partecipato agli ultimi Europei ha passato nell’ultimo anno 260 giorni di lavoro col club, 63 con la nazionale e solo 42 di riposo tra ferie e riposi durante la stagione. Come non bastasse, la stagione iniziata a metà agosto sarà quella con più partite nella storia: tra la nuova Champions e il Mondiale per club, un giocatore potrebbe giocare fino a 15 partite in più.
Lesioni 10 volte più frequenti in partita che in allenamento
C’è un dato che fa impressione: Mbappé, a 25 anni, ha già giocato lo stesso numero di partite che aveva giocato Platini al momento del ritiro, quando di anni ne aveva 32. Tutto questo è rilevante: le lesioni al legamento crociato infatti sono dieci volte più probabili durante le partite che in allenamento. E la fatica è tra le cause principali: i calciatori che giocano di più sono più esposti, anche a causa della stanchezza, a movimenti imprevisti o meno controllati. Proprio quelli che favoriscono infortuni al crociato. E forse non è un caso che proprio il portabandiera della battaglia contro questo calendario sempre più fitto, lo spagnolo Rodri, del City, sia anche l’icona di questa ondata di legamenti saltati. Uno che nella stagione scorsa aveva giocato 63 partite. Di contro, i giocatori non sono disposti a ridurre i loro stipendi per giocare meno.
Inseguendo lo spettacolo
Intensità, dicevamo. Che il gioco stia cambiando è evidente a tutti. Il dato che più di ogni altro lo dimostra è l’aumento, significativo, della velocità del pallone: rispetto agli anni Ottanta e Novanta i metri al secondo percorsi dalla sfera sono molti di più, il segno evidente di una maggiore intensità. Che nel calcio di oggi fa rima con spettacolo: ma questo ha una conseguenza. Movimenti sempre più rapidi, sempre più estremi. E che gravano sempre sui soliti giocatori. Proprio per monetizzare questo spettacolo Fifa e Uefa intasano sempre più di eventi il calendario stagionale. Ma il mercato del calcio in tv è saturo, giocare ogni giorno toglie anche valore alle partite — basti pensare che la Premier per la prima volta ha ridotto il valore dei diritti di una singola partita — e il paradosso è che a rimetterci è proprio lo spettacolo. Ancora di più quando perde i migliori interpreti. Quando il legamento si strappa servono mediamente 6 mesi e mezzo per tornare ad allenarsi e uno in più per rivedere il campo. Nella vita di un calciatore vuol dire, in media, perdere quasi una stagione intera.