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Calcio in Arabia, il grande flop nel deserto. Ora i sauditi chiedono aiuto in Europa

Ascolti bassi e stadi vuoti, si corre ai ripari: la missione fra Milano, Londra, Monaco e Stoccolma per attirare investitori e competenze

MILANO — Chiedere agli investitori occidentali di comprare i diciotto club della Saudi Pro League. È l’obiettivo dello Sport Europe Roadshow dei ministri degli Investimenti e dello Sport sauditi, che dopo avere distribuito in Europa centinaia di milioni per attrarre campioni ora, al contrario, chiedono soldi (e competenze) al mondo del calcio del vecchio continente, per rivitalizzare un campionato sempre meno attrattivo per pubblico, tv e calciatori. E mantenere così in vita il movimento calcistico nel regno almeno fino al 2034, anno del Mondiale di calcio per cui l’Arabia è l’unico Paese candidato. Da oggi a martedì — fra Londra, Milano, Monaco di Baviera e Stoccolma — Khalid AlFalih e Bader AlKadi incontreranno manager di club europei e gestori di fondi.

I limiti del calcio arabo

L’attuale struttura del campionato saudita — con il fondo sovrano Pif proprietario delle quattro maggiori squadre — ha prodotto storture: l’Al-Hilal ha vinto 34 partite di fila, gli ascolti nel mondo sono vicini allo zero, gli stadi sono mezzi vuoti, gli sponsor scappano e i campioni cominciano a rifiutare i ricchissimi trasferimenti, nel timore di perdere anni in un circo in cui tutte le squadre rispondono allo stesso padrone. La privatizzazione finora è stata condotta con spirito dirigista. Il club Al-Qadsiah, che ha tentato invano di portare Paulo Dybala a Khobar, è stato affidato a Saudi Aramco, la compagnia petrolifera nazionale. Perché ci sia vera competizione, servono proprietà diverse. Magari straniere e competenti.

Il valore della Saudi Pro League

Cristiano Ronaldo, Benzema e Neymar non sono bastati a creare interesse nei confronti di un campionato che dichiara ricavi aggregati per il 2023/24 di 1,8 miliardi di Riyal sauditi — 444,5 milioni di euro, poco più del fatturato della sola Juventus — a fronte di una spesa mai comunicata, enormemente maggiore. «Senza competizione non c’è spettacolo e i sauditi lo stanno finalmente capendo», taglia corto uno degli advisor occidentali che stanno lavorando all’operazione. John Shehata, avvocato esperto in rapporti coi Paesi arabi, sottolinea: «Per fare affari con l’Arabia Saudita è ormai necessario investire in loco e avere una presenza stabile nel Paese». Federico Venturi Ferriolo, partner di LCA Studio Legale, aggiunge: «Per il sistema italiano è una grande opportunità, il nostro calcio a Riad è noto per tradizione, storia e talento».

Regime fiscale favorevole per gli investitori

Mettere oggi un gettone nel campionato saudita, per i player occidentali significa aprirsi le porte per il progetto faraonico che porterà al Mondiale fra dieci anni, con «gli stadi più belli del mondo», come annunciato dal governo. In rete già girano i rendering dell’impianto elicoidale da 47 mila posti ad Al Khobar dello studio Populous. Agli stranieri, i sauditi offrono un regime fiscale di favore: zero tasse sulle persone fisiche, aliquota unica del 20 per cento per le società, Iva al 15. E grazie ad accordi bilaterali con molti Paesi (Italia compresa) non è prevista doppia tassazione in patria. Un bengodi che sul sito del ministero degli Esteri italiano viene raccontato così: “Arabia Saudita: oltre il deserto c’è un mare di opportunità”.

Sport in Arabia, non solo calcio

Le tappe del tour saudita saranno: mercoledì Londra, giovedì e venerdì Milano — prima un incontro su inviti, poi una tavola rotonda — l’8 settembre Monaco di Baviera, il 10 Stoccolma. Sul tavolo, anche una serie di questioni laterali, dalla Formula 1 al golf, fino agli investimenti in ambito energetico. All’incontro milanese di giovedì saranno presenti quaranta rappresentati dell’imprenditoria italiana e dei principali attori del calcio, a partire da Inter e Milan.

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