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Calcio, Ranieri: “Dopo il Cagliari, una Nazionale”

L’allenatore a Repubblica: “Allenare mi tiene giovane, al passo con i tempi. Io cambio come cambia il calcio, mi adeguo”.

Un personaggio. A 71 anni, Claudio Ranieri continua a essere un gentleman, molto amato. In particolare nella 'sua' Cagliari. Il tecnico ha parlato a Repubblica. “Finché lavoro sono pimpante. Allenare mi tiene giovane, al passo con i tempi. Io cambio come cambia il calcio, mi adeguo, mi aggiorno, non mi sento distante dalle ultime tendenze. Forse la mia forza è proprio il cambiamento. Mi sento un allenatore moderno, un allenatore europeo, e in più ho un’esperienza che la dice lunga e che serve eccome. Per me il calcio è semplice, sono gli allenatori che lo rendono difficile. E non ha una sola natura. Noi andiamo dietro alla tattica, all’estero molto meno: e allora, dov’è la verità? Ognuno ha il suo libro, poi i risultati dicono se sei sorpassato o no. Per quanto mi riguarda, mi sento un sempreverde. Una cosa che non sopporto? Il fatto che per forza di cose si debba iniziare l’azione dal basso. Non lo capirò mai. Tanto poi tutti studiamo come impostano e cerchiamo subito di rubare palla. All’oratorio giocavo a basket e il gioco era prendere e tirare: perché devo tenere per ore la palla invece di farla arrivare il prima possibile a quelli che negli ultimi 20 metri fanno la differenza? L’azione più bella è rinvio del portiere, tiro, gol. Rapido e indolore”.

Svela il suo futuro: “Ho deciso che il Cagliari sarà l’ultima squadra che allenerò. Farei un’eccezione soltanto per una Nazionale intrigante, e preciso che non mi sto candidando alla panchina azzurra. Sì, smetterò a Cagliari, ma non so quando. Magari resisto vent’anni. Scherzi a parte, questo è il posto giusto per smettere, mi sento di chiudere finalmente un cerchio. Qui è cominciata la mia carriera, perché quando il Cagliari mi chiamò puntando su un giovane senza esperienza, 35 anni fa, era la scommessa della mia vita. Potevo bruciarmi, all’epoca neanche sapevo se avrei fatto l’allenatore. Cominciammo con l’idea di provare a tornare in B nel giro di un paio di d’anni, invece in quei due anni passammo dalla C alla A. Da allora ho Cagliari dentro”.

Parla di Riva: “Nel mio ritorno ha influito molto Gigi Riva. Ha detto delle cose, suo figlio ha continuato a mandarmi messaggi, così ho pensato che non dovevo essere egoista, non pensare a me stesso ma a un popolo che in quel momento era in difficoltà. E allora mi sono buttato a capofitto. Prima che venissi, Riva ha detto una sola cosa: Ranieri è uno di noi. L’ultima volta mi ha chiamato mentre stavamo entrando nello spogliatoio di Bari, la sera della finale play-off e ha detto: dì ai ragazzi che hanno tutto il nostro popolo con loro. È stata come una benedizione”.

Ranieri vincente e amato: “Perché? Credo che sia perché do rispetto e di conseguenza ne ricevo. Sono stato apprezzato anche quando non ho vinto, forse perché non mi sono mai tirato indietro. Mi dicono che c’è sempre stato affetto ovunque, o qualcosa del genere. E poi forse conta il fatto che mi sono sempre comportato bene, che se perdo perché gli altri hanno giocato meglio lo riconosco, che non cerco scuse, che non corro dietro all’arbitro per dare la colpa a lui o magari alla pioggia. Il risultato è la prima cosa. Ma ai giocatori dico: se date tutto, accetto qualunque verdetto. La cosa più importante è avere la coscienza a posto. Ecco: la vittoria è dare tutto e avere la coscienza a posto".

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