MILANO – Inzaghi si era abituato bene. Avere Calhanoglu in squadra è come presentarsi con la pistola a duello di spada. Se il turco va dal dischetto è gol. Lo sapevano i compagni, che cominciavano a esultare durante la rincorsa. Lo diceva la statistica, almeno fino al minuto 74’ della partita più importante di questa serie A finora. Hakan, maglia numero 20, ha sbagliato dal dischetto il ventesimo rigore della sua carriera interista, dopo 19 a segno. In Serie A non aveva mai fatto cilecca. Non è stato il portiere a pararglielo e nemmeno l’ha sparata fuori. La sorte ha voluto concedergli l’onore delle armi: a negargli il gol che avrebbe portato l’Inter due punti sopra il Napoli in classifica è stato il palo sinistro. Aveva calciato nel modo che il suo micidiale piede destro preferisce, forte, basso, incrociato.
Non lo ha fermato Meret ma il palo
E così la pistola di Inzaghi per la prima volta si è inceppata. Il duello lo ha vinto Meret, che la spada nemmeno l’ha dovuta sguainare. “Mi spiace avere sbagliato il mio primo rigore qui. Sapevo sarebbe successo, ma speravo non col Napoli, che per noi era importante. Stiamo provando a stare lì, abbiamo dato tutto”, ha detto con un mezzo sorriso prima della doccia, parlando di quel rigore che ha fatto infuriare Conte.
Il vizio del gol
La squadra dell’ex ct si è tenuta la testa del campionato ed è crollato il dogma dell’imbattibilità dagli undici metri dell’ex milanista, che secondo un coro dei tifosi nerazzurri, quando era in rossonero non segnava mai. Non è vero, ma adesso segna di più. In 147 partite di gol ne ha fatti 31. L’ultimo, meraviglioso, 31 minuti prima del rigore steccato. Su punizione, ha disegnato un arcobaleno che ha abbagliato Meret e ha riportato il sereno nella partita dell’Inter dopo la tempesta McTominay, centrocampista simbolo degli azzurri quest’anno, come Calha lo è dei nerazzurri dall’estate del 2021.
Da parametro zero a protagonista
Fu chiamato, a parametro zero, per sostituire Christian Eriksen, fermato dopo Euro 2020 dalle norme italiane sull’accesso allo sport per i cardiopatici. Arrivò in punta di piedi, fra i fischi della Milano rossonera, e si piazzò sulla trequarti, perché al tempo in regia c’era Brozovic, ex trequartista anche lui. Ma Inzaghi vide in lui quel che Spalletti quattro anni prima aveva visto nel croato: un uomo d’ordine da piazzare davanti alla difesa. Da lì non si è più mosso, perché senza Calhanoglu l’Inter sa essere bella, pericolosa, ma davvero ordinata mai. Come tutte le cose importanti, di Calha ci si accorge quando manca. Il 20 ottobre a Roma si è fatto male. I tifosi interisti hanno loro malgrado familiarizzato con l’espressione elongazione. Coscia sinistra, due settimane abbondanti di stop. Abbastanza per saltare la trasferta di Berna, dove l’Inter ha vinto con un dol al 93’, il pareggio delle difese horror contro la Juve, la trasferta di Empoli e la vittoria col Venezia. Mai, Empoli a parte, i nerazzurri sono stati la squadra monolitica che ha sbaragliato lo scorso campionato. Calha è tornato quando davvero contava, come il matador in corrida, che avvicina alla bestia dopo che i picadores l’hanno fiaccata e provocata: ha diretto il centrocampo in Champions contro l’Arsenal, e dal dischetto non ha sbagliato. L’ha guidata di nuovo col Napoli, riportando il risultato sul pari. Poi, nello stupore di tutti, l’incantesimo dal dischetto si è rotto.