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Castellanos: “Porto in campo la rabbia, così vivo il calcio”

L’attaccante della Lazio: “Non basta la tecnica, contano anche i duelli. Tiferò per Lautaro e Correa in finale con il Psg ma domani a San Siro voglio battere l’Inter. Meritiamo il quarto posto”

Sulla finale di Champions League, Valentin Castellanos detto “Taty” (“La mia prima parola, colpa del rumore strano del passeggino”), il centravanti argentino della Lazio, non ha dubbi: “Tiferò Inter. Per i miei connazionali Lautaro e Correa, certo, ma anche perché un trionfo del genere sarebbe importante per il movimento calcistico italiano. Sarà una partita bellissima da vedere, tosta da giocare”.

Inter-Lazio è una sfida decisiva per il campionato.

“Loro lottano per lo scudetto, sono fortissimi, ma noi vogliamo sei punti in queste due gare per centrare il quarto posto. Per la stagione che abbiamo disputato, meritiamo la Champions. Chi toglierei all’Inter? Proprio Lautaro”.

Che non ci sarà. All’andata all’Olimpico finì 0-6.

“Riscattare quella sconfitta è una motivazione in più. Nelle due precedenti partite con l’Inter in questa stagione non c’ero, per squalifica e infortunio, non vedo l’ora di giocare questa sfida così importante. Di sicuro i napoletani faranno il tifo per noi”.

La sua stagione: 38 presenze, 14 gol, 5 assist, 4 rigori guadagnati. Si arrabbia quando dicono: Castellanos è un centravanti forte ma non è un goleador?

“Eh. Qui in Italia ho notato che c’è questa fissazione dei numeri, come se contasse solo quanti gol segni. Io non la penso così, è fondamentale che la squadra funzioni e vinca. Lavoro per il collettivo”.

Cosa preferisce tra un gol brutto e un assist bello?

“Valgono entrambi nella stessa maniera, mi creda”.

Ha sempre giocato centravanti?

“No, da piccolo a Mendoza, la mia città in Argentina, tra le montagne, a due ore di volo da Buenos Aires, il mio ruolo era il 10, mi muovevo alle spalle della punta. Ho iniziato a 5 anni, nell’accademia di Leopoldo Luque, il partner d’attacco di Kempes ai Mondiali ’78. Giocavo anche a futsal, ha contribuito ad affinare la mia tecnica. A 16 anni provai nel River Plate, non andò bene, è stato un momento difficile, scelsi di andare in Cile e debuttai nella prima squadra dell’Universidad. Poi il trasferimento in Uruguay, a Montevideo. E lì arrivò la svolta”.

Il suo club, il Torque, fu acquistato dal City Group.

“Sì, e così sbarcai nella Mls con il New York City. Il terzo anno vinsi campionato e titolo dei cannonieri. Segnai anche un gol di rabona. Era un calcio diverso, certo, molto fisico e poca tattica. Il mio sogno era giocare in Europa”.

E arrivò il Girona, altro club del City Group.

“Sì, segnai 14 gol. In Spagna ho vissuto il giorno più felice da calciatore, quando ne feci 4 al Real Madrid. Poi ho vissuto un altro momento speciale”.

Dica.

“In nazionale, quando sono entrato nel finale di Paraguay-Argentina, il 15 novembre 2024, e ho giocato insieme a Messi. In ritiro abbiamo parlato ma non molto, per noi argentini Leo è una figura mitica, incute soggezione. Ma già ammirare come si allena insegna tanto”.

L’anno prossimo c’è il Mondiale. Sarà derby con il romanista Dybala per un posto tra i convocati?

“È un altro sogno da realizzare. Voglio giocare le mie carte facendo bene nella Lazio. So che il ct Scaloni ha fiducia in me, è uno stimolo in più”.

I suoi centravanti di riferimento?

“Adoravo Luis Suarez e Ibrahimovic: grande tecnica, lavoro per la squadra e gol. Come piace a me”.

La rabbia che mette in campo da dove viene?

“È il mio modo di vivere le partite. Curo ogni dettaglio, le sponde, le rifiniture, i duelli individuali”.

A proposito di corpo a corpo: ha fatto espellere Mina e Kalulu.

“È il calcio moderno: la tecnica non basta, bisogna combattere. Ma fuori dal campo sono tranquillissimo, un bravo ragazzo”.

È appassionato di tatuaggi.

“Uno è per mia nonna, poi ho un leone sul braccio, mi piace molto, leone come il nuovo Papa (sorride). Sono credente, sì. Il pontefice precedente, Francesco, è stato importante per l’Argentina”.

Quando è pesante l’eredità di Immobile, 207 gol nella Lazio?

“Sento molto questa responsabilità. Ma sono al secondo anno, Baroni ha fiducia in me, i tifosi anche, sto bene qui e mi piacerebbe restare. Vedremo cosa accadrà in estate. La coppia con Dia? Funziona, c’è intesa”.

La scorsa stagione, dopo le sue prime due partite, giocate molto bene contro Atalanta e Sassuolo, tornò Ciro e lei finì di nuovo in panchina. Altro momento difficile, no?

“Un po’ di fastidio, sì. Però noi calciatori dobbiamo accettare le scelte. Tutti vogliono più spazio, invece conta il bene della squadra. Con Sarri giocavo poco ma era un allenatore di grande esperienza”.

Il gol più bello in carriera? Quello di rabona in Mls?

“No, il destro al volo in acrobazia al Genoa. Anche perché lo avevo promesso al mio piccolo amico Emanuele, un guerriero”.

Undici vittorie in trasferta e invece in casa un successo nelle ultime 11 gare di campionato. C’è una spiegazione?

“In casa gli avversari si chiudono ed è più difficile. Ma in realtà io penso sia una coincidenza, sono le cose strane del calcio”.

Immobile ha acquistato il campo dove giocava da piccolo a Torre Annunziata. Pensa di farlo anche lei?

“Bella idea, perché no? Sarebbe importante creare una scuola calcio per i ragazzini di Mendoza. Però ho 26 anni, è presto”.

A quel rigore sbagliato contro il Bodø pensa ancora?

“Oh sì, sì. Pesa. Ma se tornassi indietro lo tirerei di nuovo nonostante i crampi, era normale assumersi quella responsabilità. Solo, lo calcerei in modo diverso”.

Lei è un giramondo: quando smetterà, quale posto sceglierà per la residenza definitiva?

“Non lo so, proprio non so dove sarò tra 5 o 10 anni. Andrò dove mi porteranno il calcio e la vita”.

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