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Che Guevara, Messi e il cuore ballerino del Viejo Casale: la leggenda infinita del derby di Rosario

La città del calcio in Argentina, dove la rivalità tra il Rosario Central e il Newell’s Old Boys si intreccia con la storia del Paese. E non solo

Ricardo entrò in sala operatoria. Il chirurgo lo attendeva con un sorriso strano, di quelli che avrebbero preoccupato chiunque. Per quanto si chiedesse il perché, trovare risposte immediate era però impossibile. Ricardo, di cognome De Rienzo, lavorava come difensore nel Newell’s Old Boys, una delle due squadre più forti di Rosario. Uno dei Leprosos, i lebbrosi, chiamati così da quando, negli anni Venti, avevano organizzato una partita di raccolta fondi per un istituto che curava i malati di lebbra. Nel dicembre del 1971, De Rienzo iniziò ad avere dei problemi con l’appendice. Da operare, senza urgenza ma senza neanche perdere troppo tempo. Data scelta per l’intervento a ridosso del Natale, precisamente il giorno 20. Prima non era possibile perché il 19 Ricardo doveva giocare la gara più importante della storia del calcio di Rosario, la semifinale del campionato argentino contro l’altra metà della città, il Central. Le Canallas, i mascalzoni, perché quella partita per dare soldi al lebbrosario si erano rifiutati di giocarla. Importante a dir poco, visto che il campionato argentino (sempre disputato senza interruzioni dal 1893 a oggi) fino al dicembre dei 1971 aveva sempre visto vincitrice una squadra di Buenos Aires e dintorni.

Da Rosario a Buenos Aires, più che un esodo un pellegrinaggio

E non solo le abituali Boca, River, Racing, Independiente, San Lorenzo. Ma anche squadre che non esistono più come il Lomas Athletic Club, meno 20 anni di vita comunque sufficienti a prendersi 5 titoli. A Ricardo viene assegnata la vigilanza del centravanti del Rosario Central: si chiama Aldo Pedro Poy baffo d’ordinanza tipico di tanti giocatori del periodo, aria svagata, di quelle un po’ così che però ti fregano perché rischi di sottovalutarle. Rosario è città conosciuta per tante cose, Arte, cultura, personaggi. Il più famoso è Ernesto Che Guevara (era tifoso del Central). L’altro, Leo Messi, nascerà 16 anni dopo quella partita. Messi tra l’altro solidificherà l’opinione che Rosario sia la vera culla del calcio argentino. Quel 19 dicembre i 300 chilometri verso Buenos Aires sono un pellegrinaggio, un viaggio nella speranza. Tutti infatti sanno che, dopo quella partita, nulla sarà come prima. Ognuno dei tifosi in partenza, si porta dietro la propria storia, spesso e volentieri legata alle vicende della squadra. Vita reale e aneddoti, in una sorta di delirio collettivo dove storie vere e inventate si fondono in un corpo unico.

La leggenda del Viejo Casale

La più celebre esce dalla mente di Aldo Fontanarrosa: scrittore e fumettista, l’amore per il Central anteposto a tutto. E’ la storia del Viejo Casale, un tifoso malato di cuore che ha una particolarità: con la sua presenza allo stadio, il Central non ha mai perso un derby con il Newell’s. Motivo necessario e sufficiente agli altri tifosi per cercare di convincerlo a farsi quei 300 chilometri ai quali difficilmente potrebbe sopravvivere. Necessario e sufficiente, una volta arrivato il rifiuto a fare il viaggio, per organizzarne una sorta di rapimento. Con il Viejo Casale sugli spalti, il romanzo-film-dramma può iniziare. Il ruolo di attore non protagonista, quando la recita è iniziata da 54 minuti, se lo guadagna è Josè Gonzalez, detto El Negro, un uruguaiano di Montevideo con la faccia che sembra giunta da un’altra epoca. Fa il difensore, ma in quel minuto si è spinto in avanti: fascia destra, parte un cross. Tutto si svolge in una frazione di secondo. De Rienzo vede appena quel pallone, prima nitido, poi sfumato, appannato come le rare immagini della televisione argentina ancora reperibili in rete. Forse batte le palpebre, forse l’appendice gli assesta una fitta. Fatto sta che Poy lo anticipa con un volo leggero, a mezza altezza, come fosse una piccola colomba, una palomita: colpisce di testa e segna.

La palomita di Poy

È il gol che proietta il Rosario Central alla finale che sarà poi vinta contro il San Lorenzo, la squadra di Papa Bergoglio. Poy in quell’istante entra nella storia, e la Palomita diventa un rito collettivo inossidabile al tempo. Ogni 19 dicembre gli chiedono la replica in mezzo a tifosi in delirio, anche se chiaramente, alla soglia degli ottanta anni, l’esecuzione di Poy diventa sempre più problematica. Il destino riserva al calcio rosarino, tre anni dopo quel derby, un’altra notte magica. Omar Sivori, dopo aver qualificato la Nazionale argentina ai Mondiali, litiga con il presidente federale e, complice anche una scarsa simpatia nei suoi confronti da parte di Juan Domingo Peron (al suo secondo, stavolta breve, periodo alla timone dell’Argentina), viene allontanato. Squadra affidata a Vladislao Cap, detto il polacco, che ha una idea originale quanto, con il senno del poi, controproducente: organizzare una amichevole tra la nazionale e una selezione rosarina a pochi mesi dal torneo.Formazione di Rosario fatta democraticamente: cinque del Central e cinque del Newell’s. il problema è l’undicesimo… Tomas Carlovich. Gioca nel Central Cordoba (squadra minore dell’area) ed è una figura leggendaria.

Trentacinquemila testimoni del mito del Trinche

Tecnica sublime, visione di gioco sensazionale, giocate irripetibili: tutto supportato da pochissime immagini – eppure la tv era stata inventata da un pezzo – ma da una quantità infinita di testimoni. Allo stadio del Newell’s ce ne sono trentacinquemila, che osservano El Trinche (anche sul perché di quell’alias è mistero) fare letteralmente a pezzi la Seleccion. Tre a zero dopo un tempo, tanto che Cap chiede disperatamente nell’intervallo di togliergli di torno quel tipo con il numero 5. Alla fine un golletto l’Argentina lo fa, ma il risultato resta pesante. Cap tra l’altro fa giocare titolare proprio Poy, che non brilla e nel mondiale di pochi mesi dopo si farà il viaggio in Germania senza giocare nemmeno un minuto. Un dolore a conti fatti sopportabile. Si risparmia per esempio la pioggia a secchiate e quattro palloni raccolti nella porta del Parkstadion di Gelsenkirchen contro l’Olanda di Cruyff. E anche se avesse giocato e segnato in quella partita, nessuno gli avrebbe chiesto di replicare sistematicamente il gol, neanche se fosse arrivato con una nuova palomita. In nazionale invece Carlovich non giocherà mai. Ci si avvicinerà, forse… Sembra infatti che El Flaco Menotti, altro rosarino, nominato ct dopo la sciagurata parentesi Cap, avesse cercato di arruolarlo per il mondiale del 1978. Operazione riuscita a metà e interrotta da un laghetto (anche qui il ‘sembra’ è d’obbligo): a Carlovich piacque così tanto che si fermo a pescare e a meditare per poi, alla fine, lasciar perdere il viaggio verso Baires e tornare nella amata Rosario.

La sua vita, fatta di pallone e semplicità, finì tragicamente cinque anni fa: due delinquenti lo ferirono mortalmente per cercare di rubargli la bicicletta. El Viejo Casale invece non arrivò al 20 dicembre 1971, ma questo per fortuna è solo un racconto. Il suo cuore lo abbandonò di schianto per la troppa felicità mentre festeggiava la vittoria. Ricardo De Rienzo morì nel 2013 – e purtroppo questo non è un racconto – in un incidente automobilistico a Buenos Aires. Da qualche parte però è rimasta la sua appendice. Sul recipiente dove è conservata è attaccata una etichetta con una scritta che recita: “Appendice del giocatore De Rienzo, 20 centimetri da cui è passata la palla spinta in gol da Aldo Pedro Poy con un colpo di testa”. La ‘reliquia’ l’aveva presa il chirurgo. Si, proprio quello che il giorno dopo la partita aveva quello strano ghigno. Era uno sfegatato tifoso del Rosario Central, un autentico mascalzone…

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