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Ciriaco Sforza: “Il Bayern picchia, ma ha tanti assenti. Inter favorita se gioca aggressiva”

Intervista all’ex centrocampista di entrambe le squadre, diventato famoso in Italia grazie ad Aldo, Giovanni e Giacomo

MONACO DI BAVIERA – Con la maglia del Bayern ha vinto tutto. Con quella numero 21 dell’Inter, indossata da Giacomo Poretti in Tre uomini e una gamba, in Italia è diventato famoso anche oltre il calcio. “Non è colpa mia se quella di Ronaldo era finita”, scherza Ciriaco Sforza, 55 anni, svizzero, allenatore dello Schaffhausen. «Mi piacerebbe conoscere Aldo, Giovanni e Giacomo. Il film era davvero forte”.

E chi lo è di più, fra Inter e Bayern?

“Se l’Inter giocherà aggressiva e compatta a centrocampo, come sa fare, per il Bayern sarà difficile. E poi ci sono gli infortuni”.

Quali peseranno di più?

“In difesa mancano in tanti. È fuori anche Musiala, che è molto forte. I sostituti punteranno sulla grinta: i tedeschi corrono, picchiano. Ci tengono a giocare la finale in casa”.

Nell’Inter gioca Sommer, suo connazionale.

“È stato al Bayern nel momento sbagliato, come me all’Inter nel ’96/97. Era tutto un litigio: da una parte i dirigenti Mazzola e Suarez, dall’altra l’allenatore Hodgson, con Moratti a mettere pace. Grande presidente”.

A Monaco le tensioni erano fra Matthäus e Klinsmann.

“Facevano scintille, erano veri campioni. Una parola oggi abusata, bastano un paio di passaggi giusti”.

Il più bel ricordo dell’Inter?

“L’esordio con gol a Udine. I compagni, la casa a Como. E non andò così male: terzi in campionato e in finale di Coppa Uefa. Certo, l’Inter di oggi è più vincente”.

Le piace Inzaghi?

“Ha creato un gruppo coeso come Ancelotti, il mio idolo. L’Inter è un bell’esempio di gioco italiano. Mi piacerebbe allenare in Serie A. Mi sento pronto”.

In Italia ha le sue radici.

“Papà, napoletano, si è trasferito presto in Svizzera. Lui milanista, io juventino per amore di Platini. Una guerra. Era imbianchino. Ho provato a farlo smettere di lavorare, ma non ci pensava nemmeno”.

Lei ha cominciato presto.

“A 16 anni ero nella prima serie svizzera. Ho giocato 80 partite in nazionale, anche da capitano. Ho smesso nel 2006 e ho cominciato subito ad allenare. Poi nel 2012 mi sono fermato, ne avevo bisogno. A volte, per fare due passi avanti, devi prima farne uno indietro”.

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