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Claudio Ranieri: “Sono in vacanza, non in pensione. Non mi vedrete a commentare in tv, aspetto sempre una nazionale”

Il tecnico romano: “A Cagliari ho chiuso un cerchio, è stato il finale perfetto. Però un po’ di voglia c’è sempre. Non mi sono mai candidato all’azzurro e non lo faccio certo ora”

Qualcuno l’ha cercato, dall’estero. Qualcun altro presto lo cercherà da più vicino, quando le prime panchine cominceranno a traballare. D’altronde, Claudio Ranieri si definisce “in vacanza, non ancora in pensione”, anche se sarà difficile strapparlo alle dolci giornate di settembre davanti al mare di Calabria, dove ha passato l’estate intera, in uno dei posti dove ha messo radici e cui ha donato il cuore. Gli altri sono Cagliari e Roma (“alla fine, la mia base sarà la città dove sono cresciuto”) e anche un poco Londra.

Ranieri, come se la sta passando?

“Se ogni giorno guardi il mare, come vuoi passartela? Benone”.

Quindi nessuno riuscirà a portarla via da lì?

“A Cagliari ho chiuso un cerchio, è stato il finale perfetto. Però un po’ di voglia c’è sempre, chi lo sa. Di sicuro non farò mai il commentatore televisivo, proprio non mi va. L’ho già detto, come ultimissima cosa mi piacerebbe allenare una nazionale. Ho detto “una” nazionale, eh, non “la” nazionale”.

Molti sostengono che per la panchina dell’Italia sarebbe stato perfetto: ci ha mai fatto un pensierino?

“Mi auguravo che Spalletti ne sarebbe venuto fuori e sono contento che l’abbia fatto. E quando dichiarai che mi sarebbe piaciuto guidare una selezione, lo feci con voi di Repubblica e Mancini era ancora saldissimo. Non mi sono mai candidato all’azzurro e non lo faccio certo ora”.

Come la sta passando questa vacanza senza scadenza?

“Ho spesso passato dei bellissimi settembre al mare. La Samp mi prese a ottobre, il Watford pure, il Cagliari addirittura a gennaio. Si vede che mi fanno la cortesia di concedermi vacanze lunghe. Qui si sta benissimo, sono uno del posto: vado a fare la spesa, dal macellaio, dal pescivendolo. Non vado in osteria a giocare a carte ma solo perché non ci ho mai giocato, non sono capace. Mia moglie è calabrese, mia figlia è nata qui, questo è un pezzetto di casa”.

Ha tempo e voglia di guardare il calcio o si sta disintossicando?

“Seguo, guardo, vedo tutto. Noi allenatori siamo malati”.

Ha visto qualcosa di interessante?

“Più di tutto mi è piaciuto, e molto, il Parma. Si vede che sono tre o quattro anni che hanno un progetto su cui lavorano, ed è un bel vedere. Davanti sono notevoli, Bernabé è un gran bell’organizzatore di gioco. Pecchia ha messo in piedi una squadra davvero divertente. Complimenti”.

Che altro?

“L’Inter è l’Inter. Thiago Motta sembra che abbia subito preso la Juve per il verso giusto e in più deve ancora buttare nella mischia tutti i pezzi grossi. Mi sta piacendo molto il Toro di Vanoli, squadra verticale come poche, e aspetto il Napoli, perché Conte se non arriva primo arriva secondo, specie se non deve fare le coppe. In queste tre giornate però non abbiamo visto molto di vero: sono anni che sostengo che il mercato non possa durare così a lungo, è assurdo che gli allenatori debbano lavorare per settimane in uno spogliatoio che sembra un aeroporto, con gente che viene e gente che va. Un tecnico dovrebbe cominciare la preparazione dicendo ai giocatori: siamo una squadra, andiamo. Ma non può. E non c’è mai tempo, perché i tifosi vogliono che si vincano pure le amichevoli. È un bel problema specie per chi ha cambiato guida tecnica, come Milan, Fiorentina o Bologna, che giocoforza devono aspettare che le nuove proposte si consolidino. Per fare una squadra ci vuole tempo”.

Inter, Juventus, Parma, Fiorentina, Napoli sono pezzi del suo passato, Roma e Cagliari anche pezzi di cuore. De Rossi rischia qualcosa ad allenare la squadra che ama, la passione può compromettere la lucidità?

“No, anche la Roma è una squadra nuova, ha dovuto aggiustare molto, ma De Rossi ha già dimostrato di saper essere una guida e in campo mette le idee, non il cuore o la pancia. E comunque la partecipazione emotiva aiuta. Io ho girato molto e oltre alla Roma, che è la mia squadra da bambino, nel cuore porto il Cagliari, e Cagliari: ho amato e amo tutto di quella squadra e questo amore mi ha aiutato in questi ultimi due anni, perché nessuno più di chi ama vuole il bene dell’amato”.

Senza di lei cosa succederà?

“È importante che i tifosi capiscano che, in un campionato che si sta frazionando tra i vari fondi, lì c’è ancora un presidente che cerca di far quadrare i conti”.

A proposito di frazionamento: domani ricomincia un campionato diverso da quello di agosto?

“Non solo, ci vorranno ancora due o tre giornate come minino per definire con più precisione i valori in campo, visto quanti giocatori di un certo peso devono ancora trovare il loro posto. A parte l’Inter e pochi altri, vedremo squadre diverse da quelle dei primi tre turni ed è una cosa un po’ strana, ma è un’altra stortura del mercato lungo”.

La pausa, però, ci ha restituito la Nazionale.“Ho visto una grande Italia praticare un bel calcio all’italiana moderno, non tanto diverso da quello con cui la Spagna di De La Fuente ha vinto l’Europeo e che ho visto anche nel City di Guardiola, che oramai gioca molto più in verticale che in orizzontale. Vedo che lo stanno facendo anche molti allenatori giovani e ne sono davvero contento. La verticalità del gioco di Vanoli mi è piaciuta molto”.

La sua guerra di religione al possesso palla non la mollerà mai, vero?

“Ma qualche volta tenere palla bisogna, specie se sei in difficoltà e devi far sfogare l’avversario. Io la penso così da quando ero ragazzo e mi dividevo tra calcio e basket: a pallacanestro con la regola di allora avevi trenta secondi per tirare e quindi la mia mentalità è sempre stata quella di andare diritto verso la porta avversaria. Lo scopo del gioco del calcio è arrivare al tiro, non è meglio farlo nella maniera più diretta possibile? E quando ci si difende, chi lo dice che stare in dieci dietro la linea della palla sia così disdicevole? Quelli del City dove stanno, tutti davanti?”.

Cosa le dicevano gli spagnoli, quando allenava da loro?

“Mi portavano le statistiche, mi facevano notare che Real e Barcellona avevano non so quanto di possesso palla mentre noi del Valencia non arrivavamo al 50%. Però a livello di tiri in porta eravamo più o meno uguali, e allora? Il Liverpool di Klopp è stato un magnifico esempio di squadra verticale come piace a me. Il calcio è semplice”.

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