«Non sappiamo più difendere. L’Italia ha perso la sua identità». La fredda evidenza di quanto mostrato dalla partita di Debrecen tra gli azzurri e Israele è tutta nelle parole di Fulvio Collovati, colonna difensiva dell’Italia campione del Mondo nel 1982. «È stata una partita piena di errori, sofferta ma che ha mostrato una capacità di reagire che forse si era persa».
Merito di Gattuso?«Gattuso ha portato lo spirito che serviva, quello di un campione del mondo che ricrea amore per la maglia azzurra. La squadra ha concesso tanto, ha commesso errori madornali, ma ha saputo rialzarsi ogni volta. Questo è lo stile Gattuso, lo si è visto subito».
Il 4-5 finale ha diviso: spettacolo o preoccupazione?«Alla fine abbiamo vinto, ed è la cosa che conta, ma non posso non vedere i limiti difensivi. La realtà è che non sappiamo più difendere. Non abbiamo più i difensori del mondiale 2006, figuriamoci quelli dell’82. È il frutto di quello che abbiamo seminato negli ultimi 30 anni. Oggi i giocatori sono diversi, e la fase difensiva non sarà mai quella di allora».
Cosa si è sbagliato?«Non si insegna più a difendere. Un concetto che sembra sparito. Si parla solo di costruzione dal basso, un termine che a me fa venire i brividi. Queste cose le facevano anche Scirea e Baresi quarant’anni fa, ma loro sapevano difendere. Ora invece si insegna l’impostazione, a farsi vedere, non a marcare».
Anche lunedì sera?«L’azione del primo gol di Dor Peretz è stata emblematica: Salomon ha dribblato quattro giocatori senza che nessuno lo contrastasse».
Cosa manca ai nostri difensori?«Non c’è più il concetto dell’uno contro uno, la postura, la capacità di indirizzare l’avversario, di prevenirlo, di anticiparlo. Una volta te lo insegnavano, oggi non più. E questo lo noti anche nei nostri migliori: Mancini, Bastoni, Buongiorno. Pure loro soffrono le stesse mancanze».
È un problema di sistema o di uomini?«Di insegnamenti. I difensori hanno la concezione che debbano pensare più a costruire che a difendere. Ma dentro l’area di rigore si marca a uomo. Si sta addosso all’avversario. Adesso come quarant’anni fa».
Non rischiamo di perdere la nostra identità?«Direi che l’abbiamo già persa. La nostra forza, trent’anni fa come quarant’anni fa, era la fase difensiva. Adesso non è più così, siamo un ibrido».
Quali sono allora gli aspetti positivi?«Gli attaccanti. Siamo tornati a giocare con due punte, come nelle edizioni dei mondiali vinti. E c’è il carattere: la squadra reagisce, non molla mai. Concede troppo, certo, ma lotta fino alla fine. Contro Israele abbiamo preso quattro gol, ma ne avremmo potuti subire altri. Bisogna capire cosa succederà quando affronteremo Germania, Spagna, Brasile. Lì servirà una fase difensiva completamente diversa».
Il ct può lavorarci?«Gattuso lo farà, ma non si risolve in pochi giorni. A livello giovanile bisogna ricominciare a insegnare a difendere come una volta. Ripartire da lì. È un lavoro lungo, ma necessario se vogliamo tornare a essere l’Italia».
Lei in campo c’era in Italia-Brasile 3-2, e conosce bene l’eco di Italia-Germania 4-3. Che differenza c’è con il risultato di Debrecen?«Ogni partita è una storia a sé ed è inutile fare paragoni. Ma sicuramente questo 5-4 non passerà agli annali».