A Simone Inzaghi è già capitato di rincorrere Antonio Conte in una corsa scudetto, decisa all’ultimo metro. Altri ruoli, altre maglie, altri tempi. Campionato 1999/2000, all’ultima giornata la Juve è sopra di due punti, la Lazio insegue e spera. Com’è finita lo sappiamo. Per celebrare il quarto di secolo da quella vittoria, inattesa e per questo meravigliosa, Lotito ha organizzato per giovedì sera una festa con 250 invitati. Era il 14 maggio quando Simone, mandato sul dischetto da un fallo di mano di Brevi, segnò il primo e decisivo gol all’Olimpico contro la Reggina, battuta 3-0. Nello stesso giorno, a 176 chilometri di distanza, la Juve chiedeva senza successo il rinvio della partita per pioggia all’arbitro Collina, per poi affondare nella palude del Curi. Perugia 1, Juventus 0 e addio titolo.
Inzaghi e quel precedente di 25 anni fa
Simone ci riprova, questa volta da allenatore dell’Inter. Per farcela, dovrà battere proprio la Lazio domenica a San Siro, sperando che il Napoli inciampi a Parma. Poi, fare tre punti a Como. Centottanta minuti da giocare e un solo punto da recuperare sulla squadra di Conte, avversario oggi come allora. «Me lo ricordo Inzaghi quel giorno del 2000, in spogliatoio in attesa di notizie dall’Umbria, ipnotizzato come tutti. Scoprimmo che la Juve aveva perso perché qualcuno diede un calcione alla porta e disse che era finita», ricorda Dario Marcolin, centrocampista di quella Lazio.
Il ricordo di Marcolin
«Con Simone siamo amici, parliamo tanto. Si merita quello che gli sta succedendo. Tornando a quel giorno, ricordo che io, con Stankovic e Mihajlovic, avevo trovato una tv, altri nemmeno avevano voglia di sentire cosa succedesse a Perugia. Un compagno rimase immobile nella posizione in cui si trovava al momento del gol di Calori», aggiunge l’ex laziale Pippo Pancaro. E non ha dubbi: «Simone ce la può fare, anche se lo scudetto può perderlo solo il Napoli, che è avanti. Era e resta un ragazzo intelligente, fanatico di calcio, che ricorda i nomi di tutti i giocatori fino alla serie D».
Rampulla: “Conte era distrutto come tutti noi alla Juve”
Chi ha vissuto il lato oscuro di quella giornata, e di quello scudetto volato all’ultimo da Torino a Roma, è Antonio Conte. Ricorda Michelangelo Rampulla: «Era distrutto, come tutti noi. La pioggia c’entra il giusto, avremmo dovuto vincere, ma nel secondo tempo ci è venuta l’ansia. Perché è l’ansia che, con un termine tennistico, chiamiamo braccino». In quel Perugia giocava in prestito, e soffriva, lo juventino Nicola Amoruso: «Con il cuore, avrei preferito che avessero vinto i miei compagni bianconeri. Ovviamente però mi impegnai, visto che vestivo la maglia biancorossa», dice. Ora tifa per Conte e per il Napoli, città di sua moglie e dei suoi figli. «Antonio ricorderà ai suoi giocatori che il vantaggio c’è, anche se di un punto, e che il Napoli può vincere a Parma. È un condottiero, lo dimostrò due anni dopo il diluvio di Perugia, il 5 maggio 2002, con lo scudetto vinto».
Quella strana alleanza tra Conte e Inzaghi
In quel caso, in squadre diverse, Inzaghi e Conte furono in qualche modo alleati. Ultima giornata, Inter vicina allo scudetto. Fra i laziali che segnarono alla squadra di Cúper c’era anche Inzaghi, che poi disse: «Sono contento per il gol e per la vittoria, ma mi spiace per gli interisti». Conte uscì dallo spogliatoio di Udine, dove la Juve aveva vinto, e disse: «C’è poco da parlare, stiamo godendo. Questa è l’amarezza di due anni fa, a Perugia». Rampulla, in quel giorno, lo ricorda così: «Antonio era il nostro capitano, era entusiasta. Più contento di lui, solo io: era la mia ultima partita alla Juve».
Orsi: “Nel 2000 Eriksson non smise mai di crederci”
Il 14 maggio degli juventini e il 5 maggio degli interisti dimostrano che nei finali di campionato nulla è impossibile. La Lazio nel 2000 recuperò nove punti nelle ultime otto giornate. Secondo Fernando Orsi, allenatore dei portieri, il merito fu di Eriksson: «Non smise di crederci, neanche quando ai giocatori sembrava impossibile, e finì per contagiarli. Inzaghi ora deve fare lo stesso». La Juve nel 2002 accorciò tanto sull’Inter quanto sulla Roma, azzerando uno svantaggio di sei punti in altrettante giornate. «Imprese simili sono possibili solo se in spogliatoio hai gente come Conte, che danno la carica. Da capitano non mollava mai, non si arrendeva. E noi eravamo portati a seguire l’esempio. Ora a Napoli ripeterà lo stesso copione», dice Amoruso.