Novantanove anni, ben portati. Dopo lunghi chiaroscuri. Fondato il 1 agosto 1926 il Napoli apre stasera a Reggio Emilia il campionato del suo secolo. Una lunga storia che attraversa uomini, leggende e incubi, grandi vittorie e penose retrocessioni. Dal paraguaiano Attila Sallustro, idolo delle signore della Belle Époque, fratello di Oberdan trucidato dai Tupamaros in America Latina, all’immenso Diego Armando Maradona, profeta del primo scudetto. Il quarto è stato appena cucito sulle nuove maglie ridisegnate nel tenero azzurro cielo di sempre, ultima idea del marketing che porta il marchio al 21esimo posto nel mondo. Non è ancora completo, il mercato caotico e contraddittorio sempre aperto, un attaccante e un centrocampista da definire, ma il Napoli per tutti è già il più forte.
Motivo di orgoglio e ottimismo per migliaia di tifosi già in viaggio da stanotte verso l’Emilia. Prima spedizione di una stagione carica di promesse. Ma anche segnale di una diffusa difficoltà. Il campionato riparte con club indebitati con le banche per circa un miliardo e mezzo. Abbastanza in un Paese che stenta a qualificarsi per i Mondiali. Si distingue il Napoli, primo anche nella classifica delle società virtuose. Bilancio in equilibrio nonostante gli imminenti acquisti possano superare i trecento milioni in due anni. Spesa mitigata dai centocinquanta incassati da Osimhen e Kvaratskhelia, scoperti da Giuntoli e fatti sempre giocare da Spalletti in un Napoli che si avvaleva dell’intesa fra direttore e allenatore. Si è aggiunta una ventina di milioni con la cessione precoce di Raspadori, che appena arrivato in Spagna ha salutato l’Atletico Madrid con una poco nostalgica confessione: «Qui vivo finalmente un sogno». Raspadori è stato trasferito per quasi la metà della cifra pagata all’Udinese per il coetaneo Lucca (entrambi classe 2000), uno dei due titolari stasera.
Nel Napoli è facile arrivare ma difficile giocare.
Un mercato bizzarro ovunque, degno dei tempi. Arriva a Napoli il trentaquattrenne Kevin De Bruyne, un affare indiscusso. Ma con artificioso entusiasmo si aprono le porte a talenti dalle suole consumate, come il bosniaco Edin Dzeko (Fiorentina) e il croato Luca Modri?, preso dal Milan. Lo stesso club che comprò dall’Alessandria, stesso ruolo di registra, Gianni Rivera. Come sono cambiati i tempi. Fa discutere l’Inter, al centro dell’affare Lookman, preso e perso nello scontro con l’Atalanta. Inter che in un giro di vento si è arresa al Napoli negli ultimi secondi del campionato. Solo ora è in ripresa dopo aver segnato nel 2011 un passivo pesante di 216 milioni, travolta dal ciclone Zang, soccorsa poi dagli americani della finanziaria Oaktree. Cortesia pagata con il 12 per cento di interessi. Quando si dice: calcio italiano in crisi. Si risolleva ora con la presidenza di Giuseppe Marotta per sua fortuna. E rimane l’avversaria più solida del Napoli. Rivincere lo scudetto è possibile, per i valori del Napoli e gli affanni delle avversarie. Ma sono chiamati tutti a un più severo impegno. La squadra ha un anno in più. Va sincronizzata la velocità di pensiero del mitico De Bruyne con gli altri. L’infortunio di Lukaku elimina il perno del gioco offensivo. Non erano forse fondate le perplessità sul suo acquisto. Pagato 31 milioni a 31 anni, tanti soldi al Chelsea che pretese di vendere a prezzo fisso, dopo i prestiti ottenuti da Inter e Roma.
È l’anno di Antonio Conte. Deve convincersi di essere sotto i fari del calcio europeo. A 56 anni può tornare nel grande giro, ne uscì nella lontana primavera del 2023 dopo lo strappo con il Tottenham. Lo scudetto italiano lo ha rimesso in pista, un capolavoro trasformare in una squadra quello che era un gruppo di giocatori pigri, oziosi, anarchici. Il fausto 2024. Ma sarà interesse di Antonio Conte chiedere a se stesso qualcosa in più: una ridotta catena di infortuni, più cambi in formazione e nella stessa partita, aiutare i giovani a emergere. Il sofferto finale dello scudetto ricorda qualcosa.
Il calcio europeo valuterà Conte per i risultati, per il gioco, ora ammirato solo come brutto e vincente. Non per la cantilena sugli acquisti e le cessioni, temi labili nell’arco di un anno. I rapporti fra allenatore e presidente sono tuttavia ottimi. E Conte che decide, ma De Laurentiis non si limita a ubbidire, ora osserva e indirizza. Ha altri pensieri. Segue con attenzione il marketing, ne è entusiasta: con il direttore generale Tommaso Bianchini dal 2021 il marchio passa secondo Brand France da 139 milioni a 240. I ricavi commerciali da 44 a 97,4, oltre il doppio.
Le strutture, infine De Laurentiis le insegue come un ragazzo gli aquiloni. Poco si sa del centro sportivo. Abbastanza dello stadio che vorrebbe tutto suo. In attesa che un’utopia diventi realtà, il Comune annuncia un impianto di 70 mila posti, più moderno e attraente. In linea con la città che cambia. Turismo, Coppa America, vivibilità. Sono prospettive che anche questa società dimostra di meritare. Girano venti nuovi nel Golfo, soffiano anche nelle vele del Napoli.