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Da Pioli a Fonseca, la ripartenza del Milan senza sacrificare i big

Maignan, Theo Hernandez e Leao sono rimasti, Morata è il centravanti che può far crescere Camarda. La mano del nuovo tecnico si vede già ma manca un perno a centrocampo

La tournée del Milan negli Stati Uniti ha portato tre vittorie contro Manchester City, Real Madrid e Barcellona. Not too bad verrebbe da dire, citando una famosa conferenza stampa di Novak Djokovic, e va da sé che in un’estate come questa — con i piani ferie dilatati da Europeo e Copa America — le tre corazzate del calcio europeo fossero zeppe di giovani. Pure il Milan ne aveva, di ragazzini, e ne parleremo. Ma dopo.

Ibra la garanzia dei tifosi

Prima occorre sottolineare che Paulo Fonseca è sbarcato ormai da un mese su un pianeta che si annunciava ostile, e il rumore di fondo del mugugno popolare pare attenuato. Avremo un riscontro più preciso sabato 17, prima giornata di A, ma la sensazione è che il deciso ingresso in scena di Ibrahimovic dopo mesi di silenzio abbia un ruolo in quella che sembra un’apertura di credito. Zlatan è molte cose, da rappresentante del patron Cardinale — la strategia di comunicazione nei giorni di New York è stata potente, non invitano mica tutti a Cbs Mornings — a sorvegliante dello spogliatoio. Ma per i tifosi Zlatan, con la sua storia, è innanzitutto il garante che RedBird voglia vincere titoli, e non soltanto arrivare fra le prime quattro per perpetuare la sostenibilità economica.

Come gioca Fonseca

Una volta assodato questo — la precondizione perché il Milan ritrovi la sua gente dopo la gelata di primavera — il focus si può spostare sui principi di gioco di Fonseca, già ben visibili in queste lezioni americane. Sono diversi da quelli di Stefano Pioli. Fonseca è meno verticale nello sviluppo e ragiona a reparti laddove il Milan precedente si era spostato verso i confronti uno contro uno che da Gasperini in poi hanno vissuto in Italia un forte rilancio. Pioli è rimasto al Milan cinque anni ottenendo risultati di spessore, chiudendo comunque secondo l’ultima stagione, e in fin dei conti pagando la congiuntura storica super dell’Inter. La testa ci dice che nel quinquennio il suo Milan vada promosso, ma all’interno di simili rivalità la pancia reclama la sua parte: nella semifinale di Champions 2023 il Milan è stato eliminato dall’Inter, si è fatto precedere da lei sul traguardo della seconda stella, non è riuscito a impedire che la festeggiasse proprio a casa sua e la serie (aperta) di k.o. nei derby è un incubo: sei partite. Impossibile restare in sella quando il confronto che indirizza l’umore popolare accumula questi numeri.

I big sono rimasti

I 75 punti raccolti l’anno scorso (col dato record di 75 gol: non ne segnava così tanti dal 2006) dicono che almeno nel reparto avanzato Fonseca eredita una rosa d’eccellenza. Il fatto che i ragionamenti sul sacrificio di uno dei tre assi (si è parlato di Theo e Maignan più che di Leao), molto intensi a giugno, all’alba di agosto siano evaporati certifica che il cambio in panchina non azzera nulla, anzi. Il Milan riparte da uno stadio evolutivo avanzato. La stessa campagna acquisti del 2023, più volte giudicata in modo tranchant, a un anno di distanza non è contestabile: Pulisic, Loftus-Cheek e Reijnders si sono imposti, Chukwueze sta prendendo velocità ora, soltanto Okafor e in parte Musah permangono tra color che son sospesi.

La difesa da sistemare

Spesso la fortuna di una squadra in crescita è l’evidenza dei suoi difetti, perché diventa facile intervenire. Nell’anno dello scudetto Pioli aveva piazzato davanti alla difesa Kessié e Tonali, un filtro che aveva limitato a 31 i gol incassati: svaniti entrambi, l’area è risultata troppo esposta, e l’anno scorso il Milan di gol ne ha subiti 49. Un’enormità, addirittura undicesima difesa del torneo. Con questi dati in mano, il mercato si è indirizzato su Pavlovic, un marcatore forte e mancino che permetterà a Tomori di tornare sul centro-destra, e in coda a una trattativa estenuante su Emerson Royal. Ma il tappo davanti alla difesa, che sia Fofana o mister X, manca ancora, ed è innanzitutto su quel perno che si giocheranno i progressi dei rossoneri.

Il no a Zirkzee

Il mercato aveva poi una missione supplementare, quella di surrogare, in campo e fuori, l’esperienza e la personalità di Giroud e Kjaer, i grandi vecchi andati a chiudere le carriere in contesti meno esigenti. La scelta del nuovo centravanti, in particolare, era il barometro della prospettiva RedBird, e la prima opzione, quella di investire su un possibile fuoriclasse come Zirkzee, ci piaceva. Non è ancora del tutto chiaro cosa sia l’olandese ex Bologna, come a volte succede a chi sa fare bene troppe cose. Si sarebbe sposato bene con Leao, un altro fuoriclasse potenziale che ha la “colpa” — passateci il paradosso — di pensare a giocare prima che a segnare? Chissà. La decisione di non pagare agli agenti le commissioni esagerate insite in una clausola bassa è ovviamente rispettabile.

La scelta Morata

Sfumato Zirkzee, la scelta di andare con decisione su Alvaro Morata convince per tre motivi: il valore intrinseco del giocatore, le sue capacità di sponda per gli inserimenti degli esterni — uno schema vincente all’Europeo — e la sua età. Morata a ottobre compie 32 anni, e quindi gli si possono chiedere 2/3 stagioni al top mentre Francesco Camarda cresce nella sua ombra. Per questo motivo, l’ipotesi di acquistare anche Abraham ci sembra sensata solo a patto di rilasciare Jovic: Camarda è un 2008 dal talento cristallino, giocherà in Lega Pro nel Milan Futuro ma si allenerà molto con la prima squadra, ed è bene che nella gerarchia si trovi davanti due punte centrali, non tre che gli vieterebbero a priori di affacciarsi a San Siro.

I giovani da far crescere

Lorenzo Torriani (2005), la rivelazione della tournée, dovrebbe aver allontanato l’ingaggio di un altro portiere: finché Sportiello non si rimette, dietro Maignan ci sta benissimo lui. Per Zeroli (2005), Bakoune (2006) e Liberali (2007) vale lo stesso discorso: Milan Futuro, certo, ma anche una finestrella sul Milan Presente. Sono ragazzi forti, l’hanno dimostrato nelle varie nazionali e nell’ultima Youth League, persa solo in finale. Il Milan ha lavorato bene sul vivaio, sta per arrivare il tempo del raccolto per sé, e un po’ anche per il nostro calcio. All’ultimo Europeo non c’era un solo milanista in azzurro: un’eresia storica.

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