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Dalla marcia su Sofia alla vergogna di Budapest, una galassia dal cuore nero

Chi sono gli ultrà che a Budapest si sono girati di spalle al momento dell’inno di Israele

Più neri che azzurri, e più neri che tricolori. Volendo usare il perfido sarcasmo dei supporter inglesi — nonché croati e spagnoli — agli ultimi Europei, si potrebbe anche aggiungere more flags than men: più bandiere (striscioni) che uomini. Per dire, insomma, che gli ultrà della Nazionale italiana di calcio sono di estrema destra ma non sono proprio una forza di massa. Un paio di centinaia quando ci sono (state) partite importanti; una cinquantina, cento al massimo, come media. Cinquanta, ovvero il numero di tifosi che a Budapest si sono prodotti nel voltaspalle all’inno israeliano.

Va subito detto: la storia di Gaza non sta in piedi. È stata pretestuosa. Non assimilabile, nemmeno con una forzatura, alle storiche istanze filopalestinesi della destra neofascista che — dagli anni 70 fino a Forza Nuova e CasaPound — in chiave antisemita e anti-atlantista si è quasi sempre schierata contro Israele. Degli sviluppi e delle dinamiche del conflitto israelo-palestinese alle sparute rappresentanze ultrà di Hellas Verona, Udinese, Bari, Latina, Padova, Ascoli, Angri — e via scendendo, solo per citare alcune delle “pezze” tricolori che arredano le curve italiane quando giocano gli Azzurri — importa zero. È solo estetica da camerati.

Ultras Italia nati nel 2000

Va così dal 2000, anno di nascita degli Ultras Italia (tra i promotori c’è l’avvocato di Udine Giovanni Adami specializzato nella difesa degli ultrà di mezzo Stivale). I curvaioli al seguito della Nazionale, a parte la marcia nera di Sofia nel 2008 — saluti romani, inni al duce e scontri con la polizia — fino al 2010 si notavano pochissimo. Il punto di caduta della visibilità è datato 17 novembre di quell’anno. A Klagenfurt in Austria si gioca l’amichevole Italia-Romania. Sugli spalti spuntano striscioni che chiedono “Giustizia per Gabriele” (Sandri, il tifoso della Lazio ucciso nel 2007 dallo sparo di un poliziotto) e “No alla nazionale multietnica”. Gli ultrà ce l’hanno con Cristian Ledesma, laziale di origine argentina convocato dal ct Cesare Prandelli, ma soprattutto con Mario Balotelli. “Non ci sono neri italiani”, “Nell’Italia solo italiani” scandiscono i tifosi politicizzati. Ne vengono identificati 41, per un 20enne di Udine scatta il fermo. Cialtronerie nazionaliste condite da razzismo e saluti romani. Come quelli del 2016 allo stadio Sammy Ofer di Haifa dove Israele e Italia — ancora Israele — si giocano la qualificazione ai mondiali di Russia 2018. Tre tifosi baresi indagati per il braccio teso.

Fermati e daspati a Budapest

E poi? La sigla Ultras Italia si spegne gradualmente. Quasi nessuno se ne accorge. Solo al Viminale. «Ci hanno provato, non ce l’hanno fatta», osserva Maurizio Marinelli, sociologo, già direttore del Centro studi sicurezza pubblica della Polizia di Stato, tra i massimi esperti italiani di tifoserie e stadi. «Il collante dell’ideologia funziona per le curve delle squadre di club, per la Nazionale no». A differenza di altre nazionali l’Italia continua ad avere un seguito di tifosi assai esiguo. L’evoluzione spontanea degli Ultras Italia sono quelli dello striscione “Libertà per i ragazzi con i tricolori” visto e rivisto (anche a Budapest). Sono i “ragazzi” fermati e daspati dalla polizia in Germania lo scorso giugno durante l’Europeo. Alcuni avevano improvvisato un corteo a Dortmund, inno di Mameli e saluti fascisti.

Gli striscioni con i nomi delle città

Il 29 giugno sul profilo Ig Hellaslive — la prima app al mondo dedicata solo all’Hellas Verona — è comparsa una foto della trasferta a Euro2024 per Svizzera-Italia. “Verona presente”. In tre, magliette nere, reggevano lo striscione “Verona”, scritto con il tradizionale font della destra neofascista. Il marchio di fabbrica degli ultrà dell’Italia restano gli striscioni tricolori con i nomi delle città. Chi sta dietro, la domenica segue per lo più squadre di Serie C e B. Nardò, Andria, Pagani, Catanzaro. Quando giocano gli azzurri è il loro momento, il quarto d’ora di celebrità (in diretta Rai) di Andy Warhol. Una cosa è certa: possono girare le spalle a un inno, ma non puntano all’eternità.

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