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Daniel Maldini: “Le partite con papà? Lui rompeva qualcosa e dava la colpa a noi”

Intervista all’attaccante che il Monza ha acquistato dal Milan a titolo definitivo: “Sono tornato qui perché è una famiglia. Galliani mi manda i video dei miei gol, Nesta è una leggenda e lo capisci da come allena. Ho scoperto di avere un padre famoso solo alle elementari”

MILANO — Le prime settimane di preparazione le ha fatte a Milanello, che frequenta da quando era bambino e dove per la prima volta non ha trovato papà Paolo. Poi è arrivata la telefonata in cui sperava. Daniel Maldini, che al Monza ha segnato 4 gol e ha lottato contro vari infortuni, è tornato al Brianteo, stavolta a titolo definitivo dal Milan. Oltre al presidente Galliani ha trovato in panchina Alessandro Nesta. Volti e nomi importanti per la storia calcistica della sua famiglia.

Si parla tanto del suo cognome e poi ci arriviamo. Intanto ci parli però del suo nome. Come mai Daniel, senza “e”?

«In Sudamerica ci sono più Daniel che Daniele, e mia mamma è venezuelana. Ormai però è anche monzese. Non si perde una partita».

Lei può giocare nel Venezuela.

«Mi hanno cercato la struttura della nazionale e il ct quando ero a Empoli. Ho preso tempo. Si vedrà».

Ha mai pensato di fare una carriera lontana dal pallone?

«Fatico anche solo a immaginarlo. Al massimo, un lavoro fuori dal campo ma sempre nel calcio».

Riabbracciare i suoi compagni a Monza che emozione le ha dato?

«Bellissima, ho ritrovato una famiglia. L’ambiente trasmette serenità. È stato facile per me, sia per Galliani sia per Nesta».

Nesta lei lo conosce da tempo.

«Da quando ero piccolo, però ricordavo poco di lui come persona. Sto scoprendo che mi piace davvero tanto. In allenamento si capisce perché è diventato una leggenda del calcio. Ha grandi idee e si vedono in campo».

L’obiettivo del Monza?

«La salvezza, poi si vedrà».

Dopo la vittoria con il Südtirol in Coppa Italia, Galliani ha detto che conta molto su di lei.

«Ripagherò la sua fiducia. Devo fare un passo in avanti rispetto agli altri anni e mostrare tutte le mie qualità. Mi sento più responsabile e nel posto giusto».

Che rapporto ha con Galliani?

«Bellissimo, mi stimola e mi aiuta. Mi spinge a mettermi in gioco. Mi manda i video dei miei gol. È una guida. Quello che mi dice per me è importantissimo. Lo chiamo boss. Nessun altro al mondo ha su di me l’influenza che ha lui».

E con Palladino, suo allenatore nella scorsa stagione?

«Mi ha aiutato a inserirmi nel gruppo e a trovare fiducia. Sono diventato più forte di testa. Intendo: mentalmente».

Daniel, lei dove vive ora?

«Da qualche mese sono tornato a casa dei miei genitori, ma solo per un periodo. Da tanti anni vivo da solo. Resterò a Milano, non lontano da San Siro».

La prima presenza in A, il primo gol, la prima in Champions. Qual è stata l’emozione più grande?

«Il debutto in A. Non mi rendevo bene conto di cosa mi stesse succedendo. E poi il primo gol, di testa, a La Spezia, cross di Kalulu. Stupendo».

Che effetto le ha fatto, con la maglia dello Spezia, segnare al Milan?

«Me lo sentivo, era nell’aria, purtroppo. Sembra destino che io debba segnare proprio alle mie ex squadre. E contro il Milan non sarà mai una partita normale. Nemmeno nel Trofeo Silvio Berlusconi, tanto più perché si gioca in memoria del presidente».

E fare gol all’Inter?

«Una figata. Una gran cosa. Una vittoria importante».

Come ha visto il derby che ha assegnato l’ultimo scudetto?

«Con gli amici e mio fratello, tutti milanisti. Non è stata una tragedia, eravamo preparati all’idea».

E le rivali più credibili dell’Inter quest’anno?

«Milan e Napoli».

Fuori dal campo frequenta tanti calciatori?

«Nel mio gruppo uno solo. Per il resto sono ragazzi che studiano e lavorano. Stare con loro mi arricchisce. E anche con chi fa il mio mestiere parlo poco di calcio. La vita è fatta di tante cose».

Il Monza è in Serie A da tre stagioni appena, eppure ci sono pressioni forti, si parla di Europa.

«È meglio lottare per obiettivi più importanti che accontentarsi. La pressione fa bene».

È un po’ come chiamarsi Maldini.

«Ho capito di essere un Maldini alle elementari. I compagni mi chiedevano autografi e maglie di mio padre. Per me fino a quel momento era una persona normale. Era papà».

Che effetto le ha fatto tornare a Milanello quest’estate e per la prima volta non trovarlo lì?

«È la vita, bisogna sempre guardare avanti, mai indietro».

Al Monza ha segnato su punizione con il Cagliari. È il primo Maldini a farlo?

«Probabile. Io le punizioni le ho sempre calciate, alla fine di ogni allenamento, tranne l’ultimo mese prima di segnare».

I rigori?

«Se devo, li tiro volentieri. Ma qui li calcia capitan Pessina».

Cosa dà in più e cosa in meno avere come padre un calciatore?

«Arrivi preparato, sai come funziona. Per contro, tutti ti aspettano al varco. C’è un pregiudizio. Tutti si chiedono se sei lì perché te lo meriti o per il tuo cognome. A me non dà fastidio, do per scontato che sia così».

Il suo procuratore è suo fratello Christian. Com’è lavorare con lui?

«Lavora con Beppe Riso, che è il mio agente. Ci sentiamo tutti i giorni, a tutte le ore. Parliamo di tutto, di famiglia, di calcio».

Christian si è ritirato a 27 anni, dopo una carriera nelle serie minori. È invidioso di lei?

«Come si può essere invidiosi di un fratello? Io voglio il suo bene e lui il mio. I nostri genitori ci hanno cresciuti così. Penso valga per tanti fratelli. Mi piace vedere il rapporto che hanno Simone e Filippo Inzaghi. Si vogliono bene e si vede».

Il ricordo più affettuoso che ha della sua infanzia?

«I pranzi di famiglia del sabato, vicino casa, al ristorante Novecento in via Ravizza. Nonno Cesare ci teneva a stare a capotavola. Mio padre no, ci si siede dove si vuole».

Un ricordo di suo nonno?

«Veniva a vedermi alle giovanili del Milan. Succedeva di rado e mi emozionavo».

Il momento più bello che ha vissuto con suo padre?

«Le partite di calcio in casa. Tutto quello che potevamo rompere a pallonate lo abbiamo rotto. Vasi, lampadari, soprammobili. Ogni volta che papà spaccava qualcosa dava la colpa a noi figli. Partivamo col pallone di cuoio e dopo i primi danni passavamo a quello di spugna, ma il risultato non cambiava».

Vuole avere dei figli?

«Sì. Mi immagino con un figlio maschio e una femmina».

Li vorrebbe calciatori?

«Di sicuro li metterò a calciare punizioni in casa, a rischio e pericolo di lampade e soprammobili, poi vedremo. Facciano quel che vogliono, purché siano felici. È questa l’eredità che vorrei lasciare».

I momenti brutti?

«Me li ha dati il calcio. Gli infortuni, la difficoltà di recuperare la forma. È in quelle situazioni che cerco la famiglia e gli amici».

Ex compagni di papà a cui è legato?

«Angelo Carbone e Ibrahim Ba. Ci sono sempre stati e penso ci saranno sempre».

Nel 2007 a 6 anni fece un tackle a Seedorf. Il video è virale. Ha mai provato a fare il difensore?

«Non mi è mai piaciuto. Ho sempre preferito correre con la palla che senza. Sul ruolo ho avuto pochi dubbi».

Arriva un’età in cui sono i figli a dovere consolare i padri, più che il contrario. A lei è già successo?

«Non c’è stata l’inversione ma il nostro rapporto è cresciuto. Siamo un figlio adulto e un padre presente».

Il suo sogno da calciatore?

«Vincere la Champions».

E come uomo?

«Stare bene ed essere felice con le persone care».

Lei è nato ricco. C’è un oggetto che desidera e che non ha mai avuto?

«Non ci ho mai pensato. Le cose non mi cambiano la vita. Sono più per il fare che per l’avere».

E cosa le piace fare?

«Giocare alla Play. Solo che nei giochi di calcio i programmatori non mi hanno fatto molto forte. Anzi, la mia card è un disastro. Sono meglio nella realtà».

Il suo collega Samardzic con il joypad in mano batte i professionisti.

«Anche io qualcuno l’ho battuto. Prima o poi ci sfideremo».

Si ricorda la promessa che ha fatto a Stefano Massa, il preside della sua scuola superiore a Milano?

«Gli ho detto che se vincerò la Coppa dei Campioni, lo saluterò in tv».

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