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Danilo e la commovente lettera: “Sono stato povero e depresso. I calciatori non sono viziati, è la società superficiale”

Alla vigilia dell’esordio in Coppa America lo juventino, capitano del Brasile, si confessa scrivendo ai tifosi

Servono spalle larghe, quasi immense per poter reggere il peso della maglia del Brasile, ancora di più quando sei il capitano della Seleção. Avere un popolo che aspetta una tua vittoria per esaltarti, ma anche un errore per crocifiggerti. Dover sopportare la pressione di un paese intero, di una nazione per cui il calcio è qualcosa più di un semplice gioco. C’è un torrente di emozioni nella lettera che Danilo, difensore della Juventus e capitano del Brasile, ha scritto per il popolo brasiliano, che martedì esordirà in Coppa America contro il Costa Rica.

Danilo indosserà la fascia da capitano, entrando nella storia della Seleção grazie al suo percorso e al ct Dorival Junior: “Come capitano, so esattamente cosa significa la Seleção per il nostro Paese. E la Copa América è una grande opportunità per dimostrare che il nostro gruppo comprende il peso della responsabilità di indossare questa maglia. Penso che dobbiamo giocare come se stessimo lottando per tornare a essere di nuovo dei calciatori professionisti. Perché questa è la specialità del popolo brasiliano, giusto? È quello che c’è nel nostro DNA. Lottare, essere coraggiosi, non arrendersi mai. Dormire sotto un c** di albero di banane”.

La lunga lettera di Danilo

Sarebbe semplice ridurre la lettera di Danilo a un discorso motivazionale ai propri compagni, a una captatio benevolentiae nei confronti dei tifosi, che negli ultimi anni stanno vivendo, ovviamente con disappunto, i trionfi dell’Argentina di Messi. O al tentativo di raccontare il suo periodo di depressione. La lettera di Danilo è uno spaccato di una società che va oltre i confini brasiliani, della distanza percepita tra il mondo reale e quello del calcio. Il racconto del suo percorso per riappropriarsi della gioia di giocare. Schietto, con onestà “gli uni con gli altri. Da giocatore a tifoso, senza indorare la pillola”. Ma anche la promessa, affidata alla chiosa finale, che il Brasile non giocherà la Coppa America “per sfoggiare i nostri nuovi scarpini o per scattarci dei selfie. Siamo qui per lottare, per provare a vincere”. Detto “dal vostro capitano, con il massimo rispetto e onestà”.

I calciatori e la società superficiale e falsa: “Ero depresso”

Anche se il gruppo brasiliano ha rinunciato a tanto per raggiungere la nazionale, “vediamo e sentiamo ciò che si dice su di noi”: che ai calciatori “non interessa, che siamo ragazzi ricchi che non amano la maglia. Abbiamo sentito tutti queste cose, non possiamo sfuggire ai social anche se spegniamo il cellulare”. Dopo aver spiegato che “c’è una barriera tra noi (calciatori) e voi (tifosi), ovunque, non solo in Brasile”, ma che è “la nostra società” fatta di “cose superficiali e false”, ha sottolineato il peso della maglia verdeoro. Raccontando l’emozione della prima volta, quando con l’Under 20 non riusciva neanche a calciare la palla dopo aver visto la maglia gialla con il numero 2 verde: dire che non interessa sono “stronzate! È il Brasile. Senti sempre la pressione”. Parte così il lungo racconto, fatto di aneddoti ed emozionanti flashback, dalla maglietta che pesava 50 chili alla depressione al Real Madrid, quando voleva smettere di giocare a 24 anni, quando “ti svegli sentendoti una nullità, pensando che tutti ti odino, le gambe non funzionano e non riesci nemmeno a camminare”. Del percorso terapeutico per ritrovare la voglia di giocare, di divertirsi, del peso del contratto da 31 milioni di euro con le Merengues. “Quale parte di me sentiva davvero la pressione? Il ragazzo che era stato una rivelazione come terzino destro al Porto? O il ragazzo di Bicas che aveva improvvisamente firmato per la più grande squadra al mondo?”

Il papà e i chicchi di riso

“Ho iniziato a vedermi come Danilo di Bicas, il ragazzo che all’Atletico Mineiro chiudeva l’armadietto con il lucchetto perché teneva un rotolo di carta igienica come se fosse oro”. Che portava gli amici a mangiare la pizza con 1 real, che elemosinava 90 secondi sulla scheda telefonica per chiamare la fidanzata. Che nei raduni conviveva con scorpioni, scarafaggi e ragni, sacrifici che impallidiscono davanti a quello che ha vissuto il papà di Danilo, Baiano, per sfamare quattro figli, per far avere alla mamma i soldi per la spesa: “Sai quanti chili di riso mangiano quattro ragazzi? Milioni. Quindi non parlarmi di ragni sotto il letto, figliolo”. Una schiaffo dalla realtà di chi oggi “se la doccia è un po’ troppo calda alza il telefono e improvvisamente ci sono 10 ragazzi con chiavi inglesi per sistemare tutto”. Un aiuto fondamentale è arrivato dai suoi due figli, diversi l’uno dall’altro per passioni e interessi, dall’onore di portare la fascia da capitano della Juventus e del Brasile, dal ruolo di “zio” nella Selecao, dell’emozione della prima volta da capitano e del gol vittoria di Endrick con l’Inghilterra. Emozioni, la consapevolezza di essere il Brasile e che per i verdeoro non esiste una partita normale, basta vedere come li affrontano gli altri: senza indulgenza. “Non abbiamo solo l’obbligo di lottare come calciatori, ma come brasiliani. Uniamo le forze in questa lotta”. Applausi.

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