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De Bruyne e il Napoli, l’Italia riscopre il lusso di regalarsi una stella

Per Noel Gallagher è “il rosso più forte della storia del calcio”. Lukaku in nazionale ha sfruttato spesso i suoi assist geniali

Siamo sempre nell’ambito dei fuoriclasse al tramonto, ci mancherebbe, ma era dai tempi di Cristiano Ronaldo che la serie A non includeva un giocatore di così alto livello, di tale popolarità, di tanto elevata e cristallina qualità: se davvero potremo goderci Kevin De Bruyne anche soltanto per un anno o due ci diremo senz’altro fortunati, perché quest’artista fiammingo sa dare pennellate che la maggior parte dei creativi che bazzicano da noi neanche sa immaginare. È cotto, KDB? È bollito? È consunto, a 34 anni da compiere il mese prossimo? Ancora no, benché nelle ultime due stagioni i problemi ai bicipiti lo abbiano fatto dannare: dopo l’ultimo infortunio è però rientrato con una certa spigliattezza e la seconda parte della stagione con il City è stata buona e lui è sembrato fresco, di gambe e pure di testa. Il tourbillon creativo che caratterizzava ogni sua partita faceva spesso passare in secondo piano la sua vigoria atletica, ma prima che un genio De Bruyne è un centrocampista, uno che corre tanto e che contrasta duro: ha retto senza problemi i ritmi della Premier fino a tre giorni fa, quelli assai più laschi della serie A gli consentiranno di sciorinare prelibatezze tecniche senza inciampare nel fiato corto.

De Bruyne, la completezza del campione

In Italia arriva quello che Noel Gallagher, noto tifoso del City, durante un concerto degli Oasis a Bruxelles definì «il miglior rosso della storia del football», ma KDB sta in una cerchia ristrettissima anche considerando biondi, castani, bruni, corvini e calvi. Se non è mai stato il numero uno assoluto è perché non spicca clamorosamente in un fondamentale che lo contraddistingua: il suo bagaglio tecnico è piuttosto una somma di eccellenze, sa fare tutto benissimo, con un piede o con l’altro e in ogni zona del campo. È stato mediano, regista, mezzala, esterno, trequartista, ala, rifinitore, fantasista e persino centravanti, ruolo che Guardiola gli ha affibbiato non di rado (e chissà perché), e persino nella sua prima finale di Champions (Porto 2021) perduta contro il Chelsea, quando De Bruyne finì inghiottito dal catenaccio di Tuchel e poi frantumato da un contrasto con Rüdiger, che gli fratturò il naso e il globo oculare («Mi svegliai il mattino dopo e non ricordavo nulla»). La seconda finale, quella di due anni fa contro l’Inter, la vinse ma ne giocò appena un terzo: si fece male molto seriamente a una coscia e impiegò sei mesi a guarire.

L’arte del passaggio e l’intesa con Lukaku

In verità De Bruyne ha una dote con pochi riscontri nella storia del calcio, ma così raffinata ed essenziale che può risultare invisibile agli occhi. L’arte del passaggio la padroneggia come pochi, la sua caratteristica peculiare è però che la palla non la recapita ai piedi di un compagno, ma la serve uno spazio più avanti: se lo sai e lo capisci (e Lukaku lo sapeva e l’ha capito spesso, in quel centinaio di partite giocate assieme nel Belgio), troverai il pallone fuori dalla portata dei difensori ma non dalla tua, già pronto per essere calciato o per filarsela assieme verso la porta. E se ogni calciatore sogna di segnare un gol dopo aver dribblato mezza squadra, lui ha sempre confessato che il godimento assoluto è infilare un pallone in un’area intasata di difensori per farlo arrivare all’unico compagno. D’altronde, in Premier ha distribuito 110 assist, benché all’inizio non fosse stato capito: il Chelsea (di Mourinho) lo prese dal Werder Brema e dopo un anno lo sbolognò al Wolfsburg, dove il City lo prese nel 2015 per 75 milioni, facendone la continuazione ideale sul campo delle idee di Guardiola, che al belga ha affidato al tempo stesso la tessitura delle trame e l’arricchimento dello svolazzo. Per nove volte è entrato in classifica al Pallone d’oro. Nel 2022 è arrivato terzo. Nel 2018 avrebbe potuto vincerlo, se il Belgio fosse diventato campione del mondo: la prestazione nel quarto di finale contro il Brasile rimane una delle vette della sua carriera.

Nelle Fiandre un torneo a lui dedicato

A Napoli verrà con la moglie e i tre figli, mentre i genitori (la madre è nata in Burundi, ma è di origini inglesi) vivono ancora nelle Fiandre, a Drongen, dove tutte le estati si gioca la KDB Cup, riservata agli under 15: lui ogni volta è presente e il paese si coccola il rosso più grande della storia del calcio.

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