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De Zerbi: “Da Rabiot e Rowe una rissa da pub inglese, impossibile non metterli fuori rosa”

L’allenatore attacca la madre-agente del centrocampista: “Dice solo falsità”. E spiega: “Potevo far finta di niente, ma non perdo la dignità per una partita”

I bodyguard che intervengono, il 17enne «Darryl Bakola svenuto a terra mentre il medico cercava di rianimarlo», e due compagni che continuavano a picchiarsi «come in un pub inglese». È l’immagine che Roberto De Zerbi ha restituito oggi in conferenza stampa, rompendo il silenzio sulla rissa nello spogliatoio del Marsiglia tra Adrien Rabiot e Jonathan Rowe che è costata ai due giocatori l’esclusione dalla rosa. «In trent’anni di calcio non avevo mai visto una cosa simile», ha detto l’allenatore italiano. «Non era una lite, ma una rissa vera e propria. I buttafuori del club, che dovrebbero difenderci dagli altri, erano lì a separarci tra di noi. È stata l’unica volta in carriera che non sapevo cosa dire e cosa fare».

Entrambi fuori rosa

Da qui la decisione, condivisa dal tecnico, presa dal presidente Pablo Longoria e e dal direttore sportivo Mehdi Benatia, di escludere entrambi i giocatori dalla prima squadra: «Se in un posto di lavoro due camerieri si picchiano, cosa succede? Ci sono due soluzioni: o la sospensione o il licenziamento. Noi abbiamo scelto la sospensione. Sabato e domenica ci siamo confrontati, il lunedì abbiamo comunicato la scelta: fuori rosa (Rowe è stato già ceduto al Bologna, ndr), allenamenti a parte, in attesa di un pentimento sincero». Per De Zerbi non si poteva fare diversamente: «In una squadra di calcio, come in qualsiasi ambiente di lavoro, la gerarchia è chiara: prima viene il club, poi l’allenatore, poi i giocatori. A Marsiglia in passato è mancato ordine, sono saltati allenatori e dirigenti troppo presto. Noi non potevamo far finta di niente. Se avessi detto “chiedetevi scusa e basta”, il 15 agosto avrei perso lo spogliatoio. Non perdo la dignità per una partita né per un campionato».

L’attacco della madre di Rabiot

Gran parte del discorso è stata rivolta all’entourage di Rabiot, e in particolare alla madre del centrocampista che ha definito le cronache dell’accaduto “esagerate” e insinuato che l’episodio sia stato montato dalla società per motivi diversi, tra cui una possibile strategia di mercato, definendo il club bugiardo e traditore. “Quando Greenwood ha firmato dopo aver picchiato la moglie -ha dichiarato la madre del giocatore del quale è anche l’agente -, De Zerbi ha detto che gli si poteva dare una seconda possibilità. Sono d’accordo nel dare seconde possibilità alle persone, ma è solo mio figlio a non averne una?”.

Il chiarimento di De Zerbi

«Mi dà fastidio leggere falsità. Lei si dimentica due cose: io non ho deciso da solo di mettere fuori suo figlio, ma da solo ho deciso di farlo capitano a Parigi. Da solo mi sono messo tra i tifosi del Psg che lanciavano bottiglie, per proteggerlo. In un anno ho avuto più attenzioni per Adrien che non per mio figlio Alfredo. E dieci giorni fa, quando cercava casa, gli ho offerto la mia ad Aix-en-Provence. Noi, io e Benatia, lo abbiamo aiutato anche fuori dal campo. Quando la madre attacca il presidente e il direttore sportivo, non dice la verità».

“Spaccatura definitiva con Rabiot”

Poi il tecnico ha rivendicato la linea di fermezza: «La frase che avete riportato la confermo: i c…. bisogna mostrarli in campo, non picchiando i compagni. Nessuno è sopra l’OM, né Rabiot, né Rowe, né io. Giocatori forti se ne trovano, allenatori migliori di me ce ne sono. L’onore è indossare questa maglia con professionalità e correttezza. È una scelta coraggiosa del club, ma alla lunga porterà vantaggi». Il confronto diretto con Rabiot è avvenuto ieri mattina: «Adrien è venuto a parlarmi. Gli ho detto le stesse cose che dico a voi: se fossi stato l’allenatore di mio figlio, avrei preso la stessa decisione. So che è dispiaciuto e pensa sia stata troppo grave, ma non c’erano alternative. Poteva andare diversamente: bastava un pentimento sincero e tutto sarebbe rientrato. Ma l’entourage ha alzato i toni e ha reso la spaccatura definitiva».

“Si è trattato di difendere la dignità dell’OM”

Il messaggio finale è stato un richiamo alla compattezza e al rispetto della gerarchia: «Non abbiamo preso questa decisione per orgoglio o per soldi. È stata sofferta ma obbligata. Io ascolto tutti, abbraccio i miei giocatori anche nelle loro vite private, ma ai piedi in testa non me li mette nessuno. E neanche al club. Qui si tratta di difendere la dignità dell’OM. È questo quello che conta».

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