COMO – C’è una Rolls Royce nera e grigia, con targa inglese, che affronta titubante le rotonde della Bassa comasca e libera i cavalli sui rettilinei delle statali. Dallo scorso dicembre, si ferma al centro sportivo di Mozzate, dove si allena il Como. A scendere dalla parte sbagliata, perché lì sta il volante, è Dele Alli, 29 anni da compiere e due polpacci tatuati, che non sono più quelli di quando volava sull’erba in Premier League. Due anni di stop dal calcio non si recuperano in due mesi. “Si allena da solo, ma è bello averlo con noi. È una luce, un esempio”, racconta chi ci lavora ogni giorno. A volerlo al Como è stato Mirwan Suwarso, presidente per conto della famiglia indonesiana Hartono. Ha messo a contratto l’uomo, prima che il calciatore. Lo racconta il comunicato con cui è stato annunciato il suo ingaggio per diciotto mesi, poi si vedrà. “L’obiettivo è fornire a Dele un ambiente favorevole in cui integrarsi gradualmente, senza aspettative immediate di rendimento, sicuri che darà un contributo sia in campo che come mentore dei giovani, per elevare la squadra a nuovi livelli”. Livelli che sono stati suoi: giovane dell’anno nel 2016 per la Professional Footballer’s Association; finalista in Champions col Tottenham di Pochettino, al centro di una trequarti tutta fosforo, fra Eriksen e Son.
La vita in hotel
Como già ama Dele e sta imparando ad amare Cindy Kimberly, modella, designer e sua fidanzata. Non hanno deciso se vivere sul lago o a Milano, dove il Pirellone ricorda i grattacieli anni Sessanta di Milton Keynes, la città di 230mila abitanti a un’ora e mezza da Londra dove Alli è nato e ha cominciato a giocare. Lì hanno origine le ferite che lo hanno spinto a pensare di abbandonare il calcio a 24 anni, quando Mourinho gli affibbiò l’etichetta di “pigro” in un documentario visto da milioni di persone. Quanto fosse esteso l’iceberg sotto l’apparente indolenza in campo, Dele lo ha raccontato a Gary Neville nel podcast Overlap: la madre alcolista, il padre scappato in Nigeria, le molestie sessuali subite da un’amica di famiglia. Le sigarette fumate a sette anni, e a otto le prime esperienze di spaccio, “perché un ragazzino in bici nessuno lo fermava”. Sempre più giù, fino alla dipendenza dai sonniferi, negli anni in cui la stellina della nazionale inglese veniva paragonata a Bryan Robson e Roy Keane.
La depressione e la rinascita
Sarebbe sbagliato dire che il Como lo ha ingaggiato nonostante le sue fragilità. Lo ha cercato proprio per quelle. Ha preso il pacchetto completo: il piede destro benedetto, il metro e 88 di fibra veloce, ma anche il buio da cui è saputo uscire. “Un trauma è un trauma. E farsi aiutare non è da deboli”, ha raccontato nel luglio 2023, dopo sei settimane in un centro di riabilitazione negli Stati Uniti, dove ha trovato “un buon posto dove stare, nella mia mente”. Cinque mesi prima aveva giocato la sua ultima partita, con la maglia del Besiktas, contro l’Antalyaspor.
Oggi in palestra lavora per riattivare quei muscoli che troppo spesso si sono stirati e strappati. Quando sarà pronto, dovrà contendere il posto a Nico Paz, uno dei ragazzi a cui è chiamato a fare da mentore. Una data non c’è ma Fabregas, che lo ha affrontato con la maglia del Chelsea, lo ha inserito nella lista degli infortunati. È già qualcosa. “Servono quattro mesi per riadattarsi al calcio professionistico. Tra una decina di giorni sarà in gruppo. Magari giocherà venti minuti, magari otto partite. Deve tornare il calciatore che era. Ci crede. Ha fuoco e fame”, ha detto l’allenatore di quell’ex avversario imprendibile, che adesso lo chiama coach.