Gigio Donnarumma, unico italiano in lizza e nono nella classifica generale, ha ricevuto dalle mani di Buffon il Premio Yashin, il secondo dopo l’exploit del 2021, mentre il suo erede Chevalier con un errore regalava al Marsiglia il gol decisivo nel classique con il Psg. Luis Enrique è stato scontatamente votato miglior allenatore. Tra le donne (16ª Girelli, 24ª Cantore) ha vinto per la terza volta di fila Aitana Bonmatì del Barcellona. Il Pallone d’oro 2025 è invece andato a uno mai stato tra i candidati, Ousmane Dembélé, vale a dire al Psg: è stato premiato l’uomo simbolo della squadra che da gennaio a maggio ha meravigliato il mondo anche più di quanto stia meravigliandolo il più bravo che ci sia oggi in circolazione, Lamine Yamal, secondo per un pugno di voti e magari anche per il gol di Acerbi e le parate di Sommer, che potrebbero essergli genitori e gli hanno negato la finale di Champions. Si dovrà consolare con il Trofeo Kopa, quello per il miglior giovane, che riceve per il secondo anno consecutivo.
Dembélé, quelle notti ai videogiochi
Dembélé non è mai stato un genio maledetto, non sperperava denaro in beni di lusso ma in hamburger, kebab, patatine e bibite gassate. Non passava le notti in locali col separé, ma a giocare ai videogiochi fino allo spuntare dell’alba. Poi s’addormentava, e non si svegliava in tempo all’allenamento. E se arrivava puntuale poi magari dormicchiava in campo, almeno fin quando non gli arrivava il pallone tra i piedi e cominciava a fare la sola cosa che gli piacesse veramente fare: dribblare, dribblare e ancora dribblare, come se il videogioco fosse lui.
L’investimento del Barcellona
Era un bambino che si stava perdendo: il Barcellona usò la metà dei 222 milioni incassati dal Psg (toh) per Neymar per prendere dal Borussia Dortmund (che a sua volta l’aveva acquistato dal Rennes l’estate precedente per 15: cento milioni di plusvalenza in dodici mesi) quell’esile ragazzino di vent’anni che avrebbe dovuto ubriacare di fantasia i pochi che non erano già ubriacati da Messi. Andò male. Dembélé stava chiuso in casa, nel disordine, a mangiare porcherie. Vedeva più spesso i riders che gli consegnavano il cibo che certi compagni di squadra perché, a farsi di nutrirsi male e allenarsi di malavoglia, i muscoli lo tradivano di continuo, tant’è che in sei anni saltò per infortunio 141 partite.
Decisivo fu lo chef
Deschamps lo rese campione del Mondo, ma a Russia 2018 lo fece partire titolare e poi lo silurò, preferendogli la laboriosa solidità di Matuidi, e poi lo cassò dalla nazionale per lunghissimi periodi. Ha cominciato a cambiare, Dembélé, quando il Barcellona, che continuava a spedirgli a casa cuochi privati (ai più, lui neanche rispondeva al citofono), trovò quello giusto, uno chef stellato francese che con infinita pazienza riconvertì Dembélé ai cibi sani, ai piatti semplici, alle zuppe. I blaugrana non vollero godersi gli effetti di quel principio di conversione, non si fidavano: quando, nel 2023, arrivò un’offerta di 50 milioni del Psg (che doveva sostituire Neymar…), la prese al volo.
Poi Luis Enrique e il ruolo di falso 9
E Luis Enrique prese lui per il verso giusto, cambiandogli il ruolo e il destino: adesso fa il falso 9, cioè l’attaccante che sa far tutto, e in un anno ha segnato 35 gol, quelli che generalmente segnava in cinque (in precedenza, era andato in doppia cifra solamente nella sua stagione di esordio a Rennes). Adesso dribbla ma fa anche tutto il resto, ed è il primo a cadenzare il pressing feroce ordinato da Lucho: l’immagina simbolo è lui che guarda famelico Sommer nella finale di Monaco, preparandosi a zompargli addosso come un feroce terzino. E pensate che il finalmente adulto Ousmane lo consideri un sacrificio? Ma quando mai: «Pressare mi dà un piacere assurdo”. E la Champions, e il Pallone d’oro».