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Domenghini e l’addio a Jair: “In Italia vide la prima neve”

È morto sabato 26 aprile a 84 anni il campione brasiliano. Il ricordo del suo compagno nella Grande Inter: “Un gigante che ha fatto epoca”

Lui era un uomo gentile e dolce, ma correva troppo veloce per noi». La voce di Angelo Domenghini al telefono arriva smorzata dalla distanza e dal tempo, piena però di calore nel ricordare un amico carissimo, Jair. “Della Grande Inter siamo rimasti in quattro: io, Mazzola, Guarneri e Bedin. Ogni volta che se ne va qualcuno di noi, mi chiedo: sarò io il prossimo?”.

Quel gol sotto il diluvio universale

Il primo ricordo è una notte di tormenta, quando i nerazzurri vinsero la seconda Coppa dei Campioni a San Siro contro il Benfica, e il gol decisivo lo segnò proprio Jair. Era il 1965. “Un diluvio universale, non era neanche calcio e non si doveva giocare. Il destro di Jair passò tra le gambe del portiere che si era fatto sfuggire la palla bagnata. Era così felice, il mio amico. Alla fine si sdraiò sull’erba fradicia, lo rivedo lì che ci guarda e ride”.

“Jair era un uomo garbato e serissimo”

L’Inter lo prese dopo che il mago Herrera lo aveva osservato allenarsi con il Brasile ai Mondiali del ’62 in Cile, senza giocare mai. In quelle partitelle del mercoledì, Jair era strepitoso, peccato che il titolare si chiamasse Garrincha. “Mi piaceva il suo modo di presentarsi agli allenamenti”, dice Domenghini. “Era garbato e serissimo, e non aveva mai visto la neve. Quando a Milano nevicò per la prima volta, lui domandò cosa fosse quella roba bianca. Aveva sempre freddo, abbracciava il termosifone. Ma in campo si scaldava e sapeva scaldare, eccome”.

Quella concorrenza tra campioni

Jair dribblava tutti, scattando come il vento e danzando sulla linea di gesso. “Per la nostra Inter era anche troppo rapido, noi avevamo un passo più tranquillo. Però, che scambi con Mazzola! Nei primi due anni, io avevo fatto il centravanti, poi venni messo all’ala destra e con Jair c’era concorrenza. Quando passò la regola dei tre stranieri per squadra, immancabilmente Jair andava in campo con Suarez e Peiró. A volte mi toccava stare fuori”. Finché il leggendario Domingo non si prese la maglia, e l’amico passò alla Roma. “Poi tornò dopo una stagione, e io nel 1969 andai a giocare nel Cagliari”. In tempo per lo storico scudetto accanto a Riva, e per l’indimenticabile avventura messicana. Angelo Domenghini, uno dei giganti di Italia-Germania 4-3 e della finale contro Pelé. Anche Jair giocò insieme a O Rei, nel Santos, a fine carriera.

Quell’ultimo incontro

“Ci siamo visti per l’ultima volta l’anno scorso alla festa dell’Inter. Stava abbastanza bene. Bedin mi ha telefonato e mi ha detto che è morto d’infarto, però ho letto che era ammalato da tempo”. Pure Domenghini se l’è appena vista brutta: “Una broncopolmonite tosta, sono rimasto due mesi e mezzo in ospedale ma ho recuperato”.

Un attaccante tutto finte e velocità

Anche in allenamento, Jair era spettacolare. “Con tutte quelle finte e quella velocità, faceva ammattire i poveretti che dovevano marcarlo. La brutta figura era garantita, tanto che nelle partitelle i miei compagni preferivano girare al largo”. Ma era puro istinto, non certo la volontà di umiliare l’avversario: “Non ne sarebbe mai stato capace, Jair era una delle persone più rispettose che io abbia mai conosciuto. Dal punto di vista umano era un esempio. E del campione, beh, non parliamone nemmeno, è stato un gigante, uno di quelli che hanno fatto epoca”. Ci sono storie con una luce fortissima e poi vengono un po’ dimenticate, sbiadiscono nel tempo. Anche per Jair è andata così, come per il suo amico Domenghini. Però, non vuol dire nulla. Restano, di loro, l’epica e il sentimento. “Mi ricordo tante bravissime persone, è la prima cosa che mi viene in mente quando ripenso a quel nostro calcio”. Lo illuminavano anche gli irregolari, gli asimmetrici. Come Domingo. Come Jair, che aveva un cuore di neve anche se non l’aveva mai vista.

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