L’ultima volta in cui l’Italia è stata pienamente soddisfatta del suo centravanti risale a quasi vent’anni fa, quando Luca Toni sostenne il ruolo con gioco e gol fra il Mondiale 2006 e l’Europeo 2008. Abbiamo poi vissuto la breve estate di Mario Balotelli (2012) e quella più estemporanea di Graziano Pellé (2016), mentre Ciro Immobile ha attraversato un decennio senza farci mai innamorare fino in fondo: troppo bravo con i club per essere lasciato fuori, ma in azzurro non riusciva a ripetersi. È in questa antologia di Spoon River dei numeri 9 che si è inserito — di prepotenza come si suol dire dei centravanti — Mateo Retegui: un emigrante di ritorno scovato da Mancini per pura disperazione e imposto da Spalletti con la collaborazione di Gilardino e Gasperini, i tecnici che ne hanno affinato le qualità tra Genoa e Atalanta.
Naturalmente è presto per elevare Retegui al rango di Toni e dei suoi antenati — finché non timbri col tuo nome un grande torneo resti un aspirante — ma gare come quella di Udine autorizzano a sperarlo, perché in qualsiasi sistema di gioco la possibilità di appoggiarsi a un 9 agevola moltissimo gli altri dieci. Retegui ha ancora ampi margini di miglioramento nelle conclusioni, e si può essere fiduciosi perché nella sua esperienza italiana non c’è mese nel quale non sia cresciuto rispetto al mese precedente; ma già così la sua capacità di far salire la squadra trattenendo il pallone come un pivot e poi distribuendolo ha permesso a Spalletti di sviluppare un gioco di inserimenti redditizio e spettacolare. Contro Israele l’Italia ha assemblato le cose buone viste nelle gare precedenti emendandosi da quasi tutti gli errori (unica pecca il gol subito da corner). In particolare lo schema ormai classico di piazzare un uomo di raccordo fra il centrocampo e il centravanti — Pellegrini contro il Belgio, Raspadori ieri, Maldini si è candidato a farlo in futuro — permette agli azzurri di dominare il palleggio, spedendo in area con la catapulta i Frattesi e i Tonali.
Quando una squadra funziona — e va sottolineata la velocità con la quale Spalletti l’ha rimessa in sesto dopo l’Europeo — le sue individualità guadagnano un valore che pochi mesi fa era disperso. Dimarco vola molto alto nella gerarchia dei migliori esterni mancini della scena internazionale, Bastoni e Calafiori sono difensori che sanno stare con profitto in ogni zona del campo, Tonali è una mezzala di dimensione assoluta, Frattesi l’attaccante aggiunto che salda i conti sospesi. E poi a Udine c’è stata la simbolica riscossa di Di Lorenzo, autore di una doppietta e altre giocate, la faccia di un’Italia rifiorita esattamente come a giugno era stato la faccia di un’Italia svanita. E dall’ufficio facce è tutto.