La persona protagonista di questo articolo inforca gli occhiali con la telecamera, all’insaputa di tutti, filma ciò che accade in soggettiva e poi posta il video sul suo account personale. No, non stiamo parlando di un’imprenditrice che è stata molto vicina a un ex ministro della Repubblica italiana ma di un fenomeno mondiale del pallone, di nazionalità portoghese: l’ex juventino Ronaldo.
Tutto Ronaldo, dallo sport alla vita in famiglia
I 66 milioni di iscritti al canale “Ur Cristiano” possono trovare su YouTube questa performance del loro idolo, che ha indossato l’accessorio da 007 nell’ultima edizione dei “Quinas de Ouro”, gli oscar del calcio del suo paese. I video finora postati sono 67: si va dal racconto della carriera sportiva del campione di Funchal alle interviste ai suoi compagni di squadra, fino alle scenette di vita familiare con la compagna Georgina e i figli, su tutti Cristiano junior, 14 anni, che vuole seguire le orme del padre e quindi deve accettarne i consigli sui super allenamenti necessari per essere sempre in perfetta forma.
La platea potenziale dei calciatori è il mondo intero
Come spesso gli accade, Ronaldo ha proiettato il suo presente nel futuro, dove il giocatore, dopo aver costruito la sua fama sul campo, cerca nuovi modi di raccontarsi ai fan, creando una connessione emotiva (e anche commerciale) con chi lo segue in ogni parte del mondo. Giovanni Boccia Artieri, professore ordinario di Sociologia della comunicazione e dei media digitali all’Università di Urbino, inquadra così il fenomeno: “I calciatori hanno riconosciuto il valore dei loro brand e ora cercano di metterlo a frutto senza dipendere più da mediatori esterni. Lo fanno attraverso racconti più strutturati di loro stessi – su YouTube fioriscono i documentari sulla vita degli atleti – oppure attraverso narrazioni di pezzi della realtà che conoscono concretamente, prendendo la parola su tematiche che a loro interessano, su cui sentono di potersi esprimere. In questo processo la platea cambia e si allarga abbracciando potenzialmente tutto il mondo: sui suoi account l’atleta non si rivolge più solo a chi compra un biglietto per andare allo stadio o a chi paga un abbonamento per vedere le sue partite in tv”.
Il ruolo del lockdown nella crescita del fenomeno
Il processo di trasformazione del calciatore in media company ha subìto una brusca accelerazione durante il lockdown quando per esempio Karim Benzema, all’epoca centravanti del Real Madrid, ha realizzato col suo telefonino seguitissime dirette video su Instagram, parlando di calcio (ma anche di musica, di arte, di televisione) sprofondato nel divano di casa. In Italia, in quel periodo, Christian Vieri inventò la Bobo Tv, un podcast distribuito sulla piattaforma Twitch e condotto con altri ex calciatori, Lele Adani, Antonio Cassano e Nicola Ventola. La trasmissione ha avuto grandissimo successo, come dimostra anche il clamore suscitato, a novembre 2023, dal divorzio tra Vieri e gli (ex) amici, che hanno creato un loro talk show, su Twitch e YouTube, dal titolo Viva el Futbol.
“La pandemia – dice Boccia Artieri – ha interrotto le tipiche dinamiche dei calciatori, fatte di partite e allenamenti, ma ha permesso a chi si è lanciato in queste nuove avventure di capire il suo reale valore, la capacità di creare ‘l’hype’, l’aspettativa. Gli atleti, abituati al tifo, non al tipo di interazione diretta sulla rete, hanno avuto modo di frequentare ambienti prima a loro sconosciuti e si sono resi conto della potenzialità delle community on line. I primi hanno aperto una strada, poi si è prodotto un tipico effetto imitativo e gli altri hanno replicato lo stesso meccanismo”.
Bellingham, il campione che non concede interviste
La parola chiave di questo nuovo corso, “disintermediazione”, assume un duplice significato. Il calciatore bypassa i media tradizionali e si “consegna” a chi lo segue senza possibili equivoci. Clamoroso l’esempio del giovane fenomeno del calcio mondiale, Jude Bellingham, che non ha mai voluto concedere interviste, limitandosi a partecipare alle conferenze stampa nei casi strettamente necessari. Il campione inglese del Real Madrid, 21 anni, ha rilasciato con enorme successo su YouTube la docuserie Jude Out of the Floodlights, che ne racconta la vita privata, le imprese sportive e le ambizioni senza nessun filtro che non sia voluto dallo stesso protagonista. I suoi fan vengono avvolti dalla narrazione e in questo risiede l’altro significato della disintermediazione che i nuovi contenuti hanno posto e in qualche maniera imposto.
Il successo lo decide l’algoritmo
Qui non c’è la televisione, intesa come oggetto fisico, a porre una distanza: i contenuti arrivano direttamente sullo smartphone, strumento privato e personale come pochi altri, e chi li vede ha la sensazione di viverli in maniera esclusiva, come se gli altri utenti in quel momento non esistessero. Ma è solo una sensazione, appunto: un prodotto che funzioni ha bisogno delle inquadrature giuste, dell’audio giusto, delle grafiche giuste. Insomma, dietro la spontaneità c’è un lavoro editoriale di qualcuno che sappia trasformare le capacità del protagonista, strutturandole in un format che funzioni. “In questo senso – spiega Boccia Artieri – la mediazione che prima era affidata ai professionisti della comunicazione, come i giornalisti, ora è opera degli algoritmi. Chi riesce a eseguire al meglio tutti i passaggi che portano all’interesse del pubblico viene premiato con i click. Perché è raro che gli appassionati vadano direttamente sulle pagine dei social dei calciatori, molto più facile che una determinata clip compaia nelle loro visualizzazioni. Se lo fa è perché è stata capace di ‘bucare’ l’algoritmo”.
La “celebrizzazione” democratica dei calciatori sul web
Ora siamo in pieno boom del fenomeno. I giocatori, che hanno una carriera relativamente breve come sportivi a livello agonistico, guardano consapevolmente al dopo: chi non vuole rimanere direttamente nel mondo del calcio, come allenatore, dirigente o commentatore televisivo, pensa anche a questa strada per prepararsi al domani, consolidando la sua community, quella base di fan che è l’audience potenziale delle operazioni future. “Farsi media” è una tentazione molto forte, anche perché ha costi comunque minori rispetto ad altre attività, come il lancio di una linea di abbigliamento, classico sfogo degli ex atleti di fama. Ma è possibile che arrivi lo “sboom”, la regressione di questo trend? La risposta del professor Boccia Artieri è articolata: “Alcuni, quelli che ‘ci hanno provato’ senza avere le idee sufficientemente chiare, torneranno in una dimensione più piccola, magari continuando a gestire i loro account, dove postare ogni tanto contributi per la propria fan base. Invece resisterà e continuerà ad avere un seguito importante chi è riuscito a proporre format forti, di solito appoggiandosi a professionisti come i content creator, che sanno come instradare il talento. Qui c’entrano anche il nome e il peso dei protagonisti, ma fino a un certo punto. La ‘celebrizzazione’ del calciatore, se prima valeva con i grandi miti, oggi è molto più democratica, diffusa e possibile per tutti. Hai successo e crei valore economico non per chi sei, ma se hai qualcosa da dire, se sai far nascere l’engagment”, ossia il coinvolgimento emotivo in chi ti segue.
Il caso Adani: l’ex calciatore che decise di “farsi media”
Parole che disegnano l’identikit di Lele Adani. I ragazzini tra i suoi milioni di follower magari non sanno della carriera da difensore, delle due stagioni all’Inter e delle cinque presenze in Nazionale, tutte peraltro in partite amichevoli. Ma tutti conoscono il suo mantra: “Facciamo calcio”. L’ex giocatore emiliano ha saputo guardare lontano con decisioni anche difficili: a novembre 2014 rifiutò la proposta di Roberto Mancini di diventare suo vice sulla panchina dell’Inter, preferendo proseguire la carriera di opinionista televisivo. Lele Adani non voleva diventare allenatore. Aveva già scelto di “farsi media”.