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Ederson e le mutande inossidabili: in porta sempre con le stesse da 8 anni

Il portiere del Manchester City ha una scaramanzia nell’abbigliamento che nella storia del calcio ha però molti precedenti, dai calzoncini di Bobby Moore al colbacco di Giagnoni

ROMA – Mutande pazze. Quelle di Ederson, portiere del City. Lavaggio cotone, 60° gradi, detersivo che mantiene la brillantezza e protegge il capo (la mutanda, non Ederson) dallo sbiadimento. Otto anni di rapporto co.co.co. con il brasiliano, che ha raccontato il suo rito scaramantico: le indossa ininterrottamente, sempre loro sempre quelle, dall’estate del 2017, da quando cioè ha disputato la prima delle sue 361 partite ufficiali con la maglia dei Citizens. Biancheria che più intima non si può, a vostro rischio e pericolo l’utilizzo del Var.

I pantaloncini inossidabili di Bobby Moore

Mutande double-face quelle di Mutu, che le metteva al contrario. Niente di nuovo: già Bobby Moore, capitano dell’Inghilterra campione del mondo nel 1966, usò per svariate stagioni gli stessi pantaloncini da gioco e voleva arrogarsi il diritto di infilarli per ultimo, per cui girava fino a un attimo prima dell’ingresso in campo con i pantaloncini in mano, fischiettando. L’abito non fa il monaco, ma la seconda punta sì. Beppe Signori indossava sotto la maglia una canottiera di Padre Pio, di cui era devoto da quando era uscito illeso da un incidente d’auto, sotto quella ufficiale; Papu Gomez – più prosaicamente – aveva optato invece per una maglia di Maradona.

Ulivieri con il cappotto anche a giugno

Questione di fede. David Beckham ha giocato con un calzettone bucato per anni: ci era affezionato. Franck Ribery ha confessato che il suo rito era quello di scendere in campo con clamorosi slip a canguro, ne aveva un paio che – bontà sua – usava a targhe alterne. Sul cappotto portafortuna di Renzo Ulivieri – lungo, elegante, marca Pal Zileri, sponsor del Vicenza che allenava all’epoca – si è fatta molta letteratura: lo indossava estate e inverno, con il sole e le intemperie, nella buona e nella cattiva sorte. Il grande Eusebio giocava con una monetina nella scarpa, l’uruguaiano Otero con un santino, il terzino volante Codispoti – vedi alla voce Zemanlandia – con una banconota da 100.000 lire: ero lo stimolo pensato dal presidente del Foggia, Casillo.

La coppola di Mattolini

Il portiere vintage Massimo Mattolini – in Serie A nei 70 con Fiorentina e Catanzaro – aveva sempre la coppola in testa. Era stempiato e forse la scelta del copricapo derivò non tanto dalla volontà di ripararsi dai riflessi del sole, quanto dal pudore di mostrarsi, così, i capelli arruffati allegramente al vento, la chierica in testa. Mattolini alla stregua di Dean Martin che in “Qualcuno verrà” (1959, Vincente Minelli) non si toglie la coppola nemmeno per entrare nella vasca da bagno.

Il colbacco di Giagnoni

Riti irrinunciabili, settore look personale: il portoghese Joao Alves giocava sempre con i guanti neri, Gustavo Giagnoni andava in panchina con il colbacco (glielo aveva regalato un amico che era andato in vacanza in Lapponia), Vialli al polso aveva il polsino di spugna bianco, Casiraghi sfoggiava certosino sul naso che facilita la respirazione, Sergio Ramos esibiva una specie di cerchietto bianco, sempre il solito; Ronaldinho e Ochoa, negli ultimi anni di carriera, sfilavano in campo con una bandana nera. E’ una vecchia storia, i riti esistono dalla notte dei tempi. Carlo Bigatto, torinese, classe 1895, soldato nella Grande Guerra con la Brigata Fanteria Pinerolo che si fece onore nella Battaglia dell’Isonzo, bandiera della Juve dal 1913 al 1931, era solito scendere in campo con un caschetto a spicchi bianconeri in omaggio alla sua squadra, una calotta da pallanuotista d’antan con le alette, che il Bigatto – rincorrendo con la bava alla bocca gli avversari – lasciava slacciate, l’impavido.

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