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Elio e la finale dell’Inter: “Io alla tv in un covo di juventini. Amo gli sfottò ma soffro le gare”

Intervista all’artista: “Non riesco più a stare sul divano: o vado allo stadio o non le guardo. Stavolta faccio un’eccezione: sarò in Liguria, dove ci troviamo in minoranza”

Nel viavai degli uomini in giacca scure e camicia chiara, Elio è l’unico con indosso una bella felpa rossa. Il ristorante milanese è il Botinero, quello di Javier Zanetti in Brera. L’occasione del ritrovo a tavola è la celebrazione dei 60 anni della Coppa dei Campioni vinta dalla Grande Inter contro il Benfica. Elio si complimenta con Mazzola, Guarneri e Bedin. Applaude Massimo Moratti, da poco ottantenne. Poi la vista dell’attuale presidente, Beppe Marotta, lo riporta all’ineluttabile imminenza dell’evento. «Ormai le partite dell’Inter o le guardo allo stadio o non le guardo proprio. Sul divano soffro troppo. A dire il vero, per l’Inter soffro troppo in generale».

Sarà allo stadio a Monaco o si perderà Psg-Inter?

«Questa volta farò un’eccezione. Sarò davanti alla tv in un paese del Ponente ligure apparentemente innocuo, ma in realtà pericolosissimo».

Cosa c’è di pericoloso nel Ponente ligure?

«La presenza massiccia di tifosi juventini. Sono ovunque. Il fenomeno si spiega in parte con la vicinanza a Torino, e in generale al Piemonte».

Lei patisce lo sfottò dei tifosi avversari?

«Al contrario, lo amo molto. Con la band ci abbiamo sempre giocato. Nel video di Ti amo campionato, a Mai dire Gol, Rocco Tanica alla tastiera indossava una maglia rossonera. Ma a guardarla bene era quella del Foggia, non del Milan. Il calcio è un gioco. Almeno fino a quando non incontri Mario Corso».

Cosa succede quando incontri Mario Corso?

«Lì la cosa si fa seria. Premessa: l’unica canzone d’amore che ho scritto nella mia vita è C’è solo l’Inter. Dopo averla registrata, andai alla sede del club per farla sentire ai dirigenti, anche se quel giorno non mi sentivo tanto bene. E lì ho incontrato Corso, mio idolo di sempre. Al primo ascolto si mise a piangere per la commozione. A quel punto non solo guarii miracolosamente, ma pensai: sparatemi pure ora, sono felice, non ho altro da chiedere».

Nella sua vita, l’Inter ha contato molto?

«Sempre, anche quando non volevo. C’è un dato topografico che lo dimostra. A Milano in via Timavo, fra il quartiere Maggiolina e la stazione Garibaldi, aveva un appartamento il fratello di Rocco Tanica. Lo usavamo per scrivere le canzoni. Anni fa ho scoperto che proprio lì c’era la vecchia foresteria dell’Inter, dove facevano dormire i giovani calciatori. C’era passato Boninsegna, per dire. Il destino».

Via Timavo a parte, cosa si aspetta da questa finale?

«Sono domande che non si fanno, e che in ogni caso non meritano risposta».

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