MONACO DI BAVIERA — Ernesto Pellegrini raccontava d’essersi innamorato dell’Inter da bambino, come tutti. Il suo primo idolo era Skoglund e aggiungeva di averlo visto da vicino la prima volta mentre si faceva lucidare le scarpe in piazza dei Mercanti. Allo stadio, Ernesto avrebbe messo piede solo a quindici anni ma più o meno da quell’età si era ripromesso di diventare un giorno il presidente nerazzurro. L’occasione si presentò nel gennaio del 1984: rilevò il club da Ivanoe Fraizzoli con una stretta di mano, a cui seguì un assegno da sei miliardi di lire. Restò alla guida per undici anni, prima di lasciare il timone a Massimo Moratti nel febbraio del 1995. Il diciassettesimo presidente della storia nerazzurra è morto ieri mattina, a 84 anni, a poche ore dalla finale di Monaco di Baviera.
Chi è Ernesto Pellegrini
Negli ultimi tempi centellinava le sue presenze a San Siro per motivi di salute. Era nato a Milano nel quartiere Morsenchio, da una famiglia di contadini, ed era cresciuto tra gli orti di Taliedo e i banchi di ragioneria al “Verre”. Dopo il diploma, aveva iniziato a lavorare come contabile alla Bianchi, girava con una bici scassata e guadagnava 55mila lire al mese. Era diventato presto capo contabile, ma non gli bastava: si fece affidare la gestione della mensa e capì le prospettive del business della ristorazione nelle fabbriche e nelle aziende. Ottenne dal capo 150mila lire di incentivo, le investì per gettare la prima pietra del suo impero: a neanche 25 anni aveva fondato l’Organizzazione Mense Pellegrini, che poi divenne una spa e conquistò i mercati mondiali.
Come Pellegrini divenne presidente
La prima squadra di calcio con cui entrò in contatto nella sua vita professionale fu la Juventus, sua cliente nell’albergo di Villar Perosa. E dal momento che il gruppo Pellegrini forniva i pasti anche alla Fiat, nacque la leggenda della battuta dell’Avvocato: «Il nostro cuoco ha comprato l’Inter». Ai nerazzurri si avvicinò nel 1979, prima con l’ingresso in consiglio, poi con l’elezione a presidente cinque anni dopo. Sceglieva i giocatori studiandone la firma e facendosi consigliare dalla moglie Ivana, grafologa. Uno dei primi colpi fu Rummenigge, soffiato alla Juve. Poi Trapattoni, quindi Matthäus e Brehme: quando il terzino tedesco è scomparso, Pellegrini ha organizzato il charter per consentire agli ex compagni di essere ai funerali. Nel ristorante all’ultimo piano della sua casa milanese, continuava a ospitare i ragazzi della sua Inter, come Klinsmann, Berti, Bergomi, Serena.
Pellegrini e lo scudetto dell’Inter
Incassò lo scudetto dei record, nel 1988/89, vinto con 58 punti su 68 in palio (la vittoria ne valeva 2), una stagione da padroni negli anni del Napoli di Maradona, del Milan di Sacchi e degli olandesi, della Samp di Mancini e Vialli. Poi una Supercoppa Italiana, nello stesso anno, e due Coppe Uefa, nel 1991 e nel 1994. Da undici anni aveva aperto al Giambellino il ristorante solidale Ruben, dove i ragazzi non pagano e gli adulti in difficoltà spendono un euro. L’ultimo sogno di una vita spesa dalla parte dei più deboli.