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Europeo, otto stelle in cerca di luce. Iniziano i quarti: da Yamal a Guler, chi sono i protagonisti che vedremo brillare

Oggi Germania-Spagna e Francia Portogallo. Domani si decideranno le altre due semifinaliste

Germania-Spagna e Francia-Portogallo, i quarti nobili di questa sera, inaugurano lo scivolo che porterà alla finale europea di Berlino del 14 luglio. Sono rimaste in 8 e il ranking Fifa dice che ad aver tradito sono state le sopravvalutate Belgio, Italia e Croazia. I bookmaker vedono ancora favoriti gli inglesi, ma la Spagna ha ricucito lo strappo di inizio torneo. Ogni squadra ha una figura-barometro che raccoglie in sé le prospettive collettive: perché fa gol, perché organizza, perché deve ancora esplodere. Eccoli.

Germania — Se a 25 anni non possiedi ancora un ruolo definito, i casi sono due. Il primo (e più frequente) è che tu sia scarso. Il secondo è che tu sia un fenomeno, e Kai Havertz non smette di inseguire quello status. Il suo impiego da centravanti di manovra, perché poi se ne va in giro ad aprire spazi, divide l’opinione pubblica tedesca: Havertz è etereo lì dove la sua alternativa Füllkrug obbedisce all’iconografia del panzer, moltiplica di sponda il rendimento dei partner — Musiala in testa — mentre l’altro segna in proprio i gol più adrenalinici. Nagelsmann fin qui è stato fermo nella sua scelta. Stasera con la Spagna nuova verifica.

Spagna — Se Luis De la Fuente vincerà quest’Europeo, sarà opportuna una riflessione sul rilancio dei tecnici federali, una categoria da noi (e non solo) praticamente scomparsa dall’avvicendamento tra Azeglio Vicini e Arrigo Sacchi (1991). Col suo solido curriculum nelle varie Under, che gli permette di conoscere da quand’erano ragazzini tre quarti della rosa, Luis ha creato un ecosistema idilliaco. Non gratis: il madridista Dani Ceballos, che ai tempi dell’Under 21 era la sua stella, è stato lasciato a casa perché incapace di legare con i compagni del Barcellona, a differenza dell’altro ultrà del Real Carvajal che duetta in fascia e a tavola col prodigio catalano Yamal.

Il quale non ha nemmeno 17 anni, ha fatto gli esami scolastici in ritiro e viene spronato allo studio dall’altra ala, il saggio e maturo 21enne Nico Williams. De la Fuente ha riempito la squadra di baschi, ne asseconda il talento per gli scacchi (dicono che Unai Simon e Zubimendi siano eccellenti) e la tigna che non molla mai. La sua leadership è gentile, il suo calcio un passo indietro gli estremismi di Luis Enrique, ma basato comunque su possesso e riaggressione. De la Fuente è la sorgente, il fiume rosso sta arrivando a valle.

Francia — Parliamoci chiaro: aspettano tutti l’uomo mascherato, Kylian Mbappé. Dopo l’errore dal dischetto che costò alla Francia l’ultimo Europeo, i tre gol segnati all’Argentina nella finale mondiale e il trasferimento del secolo al Real Madrid, Mbappé è realtà aumentata, larger-than-life direbbero gli americani. Un campione quasi più grande del suo sport, ma che per confermarsi tale deve produrre risultati, e risultati, e ancora risultati. Fin qui ha segnato soltanto su rigore, ma l’impressione è che appena si libererà di alcuni fardelli — la frattura al naso è tra questi — risalirà in fretta la classifica marcatori.

Portogallo — La crisi di pianto di Cristiano Ronaldo dopo il rigore parato da Oblak è stata interpretata in vari modi, dall’ammirazione per un fuoriclasse che pur avendo vinto di tutto non smette di tenerci, alla perplessità per una scena madre a partita neanche finita (e che infatti gli avrebbe concesso la rivincita pochi minuti dopo). A noi sono sembrate semplicemente le lacrime di un bambino, quel che Ronaldo è malgrado i 39 anni e i vagoni di glorie sportive e mediatiche che si porta dietro. Ronaldo che si arrabbia se gli amichetti non gli passano il pallone, Ronaldo che pretende di battere tutte le punizioni anche se non ne segna più una, Ronaldo che non rifiata mai, nemmeno un minuto delle gare ininfluenti, Ronaldo che aveva un piano — resistere in campo fino alla chance di trasformarsi per l’ennesima volta in eroe — e che non riesce a elaborare il lutto di vederlo sfumare. Ronaldo non sta giocando bene, e il tentativo di spostare un po’ più in là una data di scadenza già molto generosa si gioca sul filo del rasoio. Malgrado tutto ciò, o forse proprio per questo, Ronaldo resta un puro. Ha vinto quasi tutto, ha una collezione di Palloni d’oro, ha segnato i gol che Paesi interi non realizzeranno mai, è ricco e famoso oltre i confini del fiabesco, eppure non gliene frega niente, lui vuole segnare il rigore. Puro come un bambino.

Inghilterra — Proprio nei giorni in cui più profonda era la nostra depressione per la scomparsa dei talenti (e la conseguente eliminazione), sui giornali inglesi si sviluppava un surreale dibattito sull’opportunità di escludere Jude Bellingham dalla formazione. Perché? Per togliere alibi ai compagni, visto che qualsiasi ruolo Jude decida di ricoprire, lo fa meglio del titolare. Segna più di Kane, dribbla più di Saka, ispira meglio di Foden, contrasta ai livelli di Rice (questo quasi). Un fuoriclasse totale che però stravolge il piano pluriennale di Southgate nel torneo in cui deve andare a dama. Poi succede che un’acrobatica giocata di Jude salvi l’Inghilterra sul ciglio del burrone, e tutti allora ne capiscono la “colpa”: è diventato fortissimo più in fretta del previsto. Ce n’è pure per Ancelotti, che sviluppandolo (anche) come attaccante ha completato la frittata multiruolo. Ma datelo a noi!

Svizzera — Granit Xhaka è stato fin qui il migliore dell’Europeo. Preciso, carismatico, astuto e figlio di (non nel senso di Spalletti e Di Lorenzo), a 31 anni ha raggiunto la completa maturità volgendo al meglio il trasferimento dall’Arsenal al Bayer Leverkusen, che pure lasciava balenare un’idea di tramonto. Sciocchezze. Xhaka è stato il faro di una stagione fantastica, e il modo in cui comanda la Svizzera più ambiziosa di sempre è uno spettacolo di personalità. Del resto quando da bambino a Basilea andava al campetto col fratello Taulant, maggiore di un anno, i genitori affidavano le chiavi a lui: figli di profughi kosovari, i due Xhaka hanno scelto percorsi uguali ma nazionali diverse, tanto che in Svizzera-Albania dell’Europeo 2016 si affrontarono pure. Vinse Granit, ovviamente. Vuol dire “granito”, sarà mica un caso.

Olanda — Cody Gakpo ha iniziato l’Europeo alla stessa velocità del Mondiale: 3 gol nelle prime 4 partite (in Qatar ne aveva segnati 3 in 3, ma dopo il girone s’era fermato mentre qui è andato a segno anche negli ottavi). Se gli dici quali altri attaccanti olandesi sono stati protagonisti di una simile performance, lui si schermisce: Van Basten, Bergkamp, Van Nistelrooy e Kluivert sono nomi di un certo peso, anche per chi viene considerato un Robben allo specchio, e del resto il sinistro a rientrare del vecchio pirata è analogo al suo destro. Dopo gli ottavi Gakpo è uno dei 4 tiratori scelti del torneo. Se progredisce, l’Olanda avanza.

Turchia — Il 19enne Arda Guler ha segnato il gol più bello del torneo alla prima partita, poi è rimasto un po’ ai margini perché viene da una stagione di infortuni e ricadute, ma appena è tornato titolare ha fatto cantare il pallone contro l’Austria. Siamo ancora agli appunti di un talento in via di sviluppo, niente di codificato, ma hanno già cominciato a chiamarlo “il Messi turco”, ed è una scemenza con qualche giustificazione. Come già Mbappé e Bellingham in questa pagina, o i brasiliani di coppa America Vinicius, Rodrygo ed Endrick, Guler è un attaccante del Real Madrid. Vedrete che di questo bel mazzetto non sarà l’ultima carta.

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