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Fabio Capello: “Grazie a Sergio Campana i club non trattano più i giocatori come animali”

A 90 anni si è spento il fondatore dell’associazione calciatori: la creò nel 1968 con Rivera e Mazzola e rimase al timone fino al 2011. Il tecnico: “Ha cambiato il nostro sport, i calciatori non avevano alcun diritto. Quando Boniperti seppe che avevo aderito all’Aic mi chiese perché volessi fare il sindacalista”

ROMA — È stato il più importante leader sindacale dei calciatori, anche attaccante e avvocato. C’è un calcio prima e dopo Sergio Campana, morto ieri a 90 anni nella sua città, Bassano del Grappa, in una casa di cura dove era ricoverato da alcune settimane. Centravanti da 240 partite e 56 gol in serie A tra Lanerossi Vicenza e Bologna, si ritirò nel 1967 e l’anno dopo a Milano fondò insieme a nove giocatori — Mazzola, Rivera, De Sisti, Bulgarelli, Castano, Corelli, Losi, Mupo e Sereni — l’Associazione italiana calciatori (Aic), di cui è stato presidente fino al 2011. Un gruppo a cui si aggiunse Fabio Capello: «Ho aderito poco dopo. E la scelta mi creò dei problemi con Boniperti. All’epoca giocavo nella Juventus, lui era il presidente. Quando venne a sapere che ero entrato nell’Aic, mi chiamò e mi disse: “Perché vuoi fare il sindacalista, come ti è venuto in mente?”. Risposi che mi sembrava giusto aiutare i calciatori, essere rispettati come atleti e uomini».

Capello, quanto è stato importante Campana per il calcio italiano?

«Lo ha cambiato, ha avuto un ruolo decisivo. Voleva creare un organo per tutelarci. Era un’epoca diversa, non dovete pensare al pallone di oggi, che anzi è frutto di quelle conquiste».

Si spieghi meglio.

«Negli anni 60 e 70 i calciatori erano trattati come animali».

In che senso?

«Non avevamo alcun diritto. Si era di proprietà delle società, che ci gestivano senza prendere in considerazione la nostra volontà. Comandavano loro, noi non potevamo aprire bocca».

Oggi sembra incredibile: ci può fare un esempio?

«Nell’estate del 1976 ero in vacanza a Kusadasi, in Turchia, reduce dalla sesta stagione con la Juve. Una mattina mi arrivò una telefonata: “Fabio, sei stato venduto al Milan”. Così eravamo trattati, scambiati e ceduti senza nemmeno essere interpellati».

Campana nel fondare l’Aic riuscì a unire Rivera e Mazzola.

«Del sindacato si iniziò a parlare nel ritiro della Nazionale. Sergio fu il punto di riferimento, a cui si aggiunsero tanti campioni che ebbero il coraggio di lanciarsi in un’avventura difficile. Lo fecero per gli altri, per quelli che non avevano diritti».

È vero che quel 3 luglio 1968 i club provarono a fermare tutto?

«L’opposizione fu forte, ma Campana era deciso. Il suo fu un atto di coscienza».

Lei in concreto come fu coinvolto?

«Ho partecipato a tante riunioni. Cercavamo un modo per ottenere il rispetto contrattuale che meritavamo. Poi arrivò lo sciopero. Era nell’aria da un po’, ogni tanto sentivi qualcuno che diceva quella parola sottovoce».

Il primo storico sciopero dei calciatori, nel 1974.

«Un giocatore (Augusto Scala, ndr) non voleva andare dal Bologna all’Avellino, e fu messo fuori rosa. Per protesta il fine settimana successivo scendemmo in campo al decimo minuto».

Con Campana aveva ancora rapporti?

«Negli ultimi anni ci eravamo un po’ persi. Ma ha lasciato un segno forte, lo ricordo con grande affetto».

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