MONACO – La nuova Champions finirà con una finale nuovissima tra il Psg che non ne ha mai vinta una e l’Inter che non la vince da 15 anni, ultima italiana a farlo. Per trovare una francese bisogna risalire al Marsiglia del 1993, in ogni caso Parigi non è il calcio francese ma un mondo a parte, tant’è che un buon 40% del tifo transalpino sarà contro.
Psg, terzo fatturato al mondo
La notizia è che siano pochi e il merito è di Luis Enrique, che ha cancellato l’allure dell’arroganza, sguinzagliato questi ragazzi che seducono e modellato un gioco che affascina. Il Psg è l’unico club del club dei più ricchi scampato (avventurosamente, all’inizio) alle tagliole di questa competizione che ha premiato più il merito del valore economico, anche se il suo resta smisurato: il fatturato di 805 milioni è il terzo al mondo, anche se negli ultimi anni la proprietà qatarina sta usando la ricchezza in tutt’altra maniera, vale a dire per reclutare i giovani migliori, pur senza badare a spese: il prossimo sarà Rodrigo Mora, fenomeno diciottenne del Porto, che costerà 60 milioni.
Un arbitro talismano
Almeno da un po’, quindi, li spendono bene, anche se in questo l’Inter ha fatto scuola, come l’Atalanta l’anno scorso (a proposito: l’arbitro, il romeno Kovacs, è lo stesso della finale bergamasca e della vittoria della Roma in Conference, quindi un talismano): il budget dell’Inter è meno della metà di quello parigino (391 milioni), nella classifica dei paperoni sta appena al quattordicesimo posto e negli anni Duemila è l’unica società ad essere arrivata in finale (due volte, addirittura) pur senza stare nei primi dieci della cosiddetta Money League, con l’eccezione del Borussia che è undicesimo. «Però in campo fatturato e monte ingaggi non vanno», dice Inzaghi: magari al suo presidente non si rivolgerebbe così (gli allenatori, ovunque, vogliono una cosa sola: che gli si comprino calciatori), ma il senso del ragionamento è chiaro e titilla l’orgoglio. «Però non mi interessa se io o l’Inter siamo sottovalutati: in questi quattro anni abbiamo vinto tanto e perso qualche volta, ma noi siamo qui».
Inter di nuovo in finale dopo due anni
E lo sono di nuovo, due anni dopo una finale cui arrivarono da assoluti sfavoriti e che giocarono alla pari, o anche meglio, del City. Qui sono invece allo stesso livello dell’avversario, perché Cruiff diceva che «non ho mai visto una borsa piena di soldi segnare un gol» e perché le differenze enormi – di pensiero, di filosofia, di struttura – rendono il confronto delicatamente equilibrato, benché la logica suggerisca che l’esperienza è ciò che davvero può squilibrare una finale, uno dei momenti in cui il callo alle emozioni e il pelo sullo stomaco possono valere più dell’entusiasmo e della sconsideratezza dei giovani.
Vecchi contro giovani
L’Inter è la squadra più vecchia di questa Champions (contro il Bayern ha superato i 31 anni di media), il Psg la più giovane dagli ottavi in avanti (scavalca di poco i 23). I suoi formidabili ventenni o giù di lì (João Neves, Pacho, Nuno Mendes, Barcola e Doué) potrebbero essere figli di Acerbi o Sommer o Mkhitaryan, che sono più vicini ai 40 che ai 30: in queste occasioni conta più quello che hai vissuto di ciò che sogni di vivere. E più la pelle è spessa, più protegge dalle incertezze di una notte che, come dicono tutti, «sarà decisa dai dettagli», ma i dettagli non sono mai un caso.
Inzaghi: “Emozione, non ossessione”
Dembélé dice che Luis Enrique li ha preparati infondendo «calma, concentrazione, sorrisi». Con Inzaghi siamo lì: «Concentrazione, emozione ma non ossessione». Servirà però soprattutto giocare bene a pallone: il Psg è la squadra che ha il maggior possesso in Champions, l’Inter in serie A, Inzaghi spiega che «serve fare un buon palleggio, in modo che la palla non ce l’abbiano loro» ma forse è un bluff perché, viste le attitudini di due squadre che sanno fare dei contropiede che sembrano folate, può essere meglio il pallone lasciarlo agli altri, e prenderli alle spalle. Stanno tutti bene, non ci sono infortunati, gli astri sono allineati, ci sono 21 titolari sicuri e un unico dubbio (Doué o Barcola? Più palleggio o più folate?), assieme a quello ancestrale: è meglio averle già conosciute, notti così, o tuffarvisi dentro per la prima volta?