Stilista acclarato, celebrato partner di Cristiano Ronaldo nel Portogallo, nonché attaccante più quotato della Serie A insieme a Lautaro Martinez, Rafa Leao rischia di non giocare a San Siro Milan-Udinese. Sarebbe la seconda volta in otto giornate, un paradosso tecnico. Ma è l’effetto del gioco dell’oca del Milan di Fonseca, un passo avanti e uno indietro. L’appuntamento con l’Udinese, che gli sta davanti di due punti al quinto posto, è una casella scivolosa: si può prendere lo slancio o rischiare una caduta fragorosa. Pare di essere tornati a un mese fa, quando prima del derby l’allenatore era con le spalle al muro e col destino in mano a una squadra lunatica e alla vena dei suoi massimi talenti, Theo Hernandez e Leao, protagonisti della vistosa protesta durante il cooling break contro la Lazio contro l’esclusione dalla formazione titolare. Poi quella sera di luna calcisticamente piena la vittoria sull’Inter illuminò Fonseca, ma adesso ci risiamo.
Fonseca: “Con me chi sbaglia paga”
Solo il campo potrà dire se il tempo sia passato invano, come parrebbero dimostrare la vicenda dei rigori sbagliati da Hernandez e Abraham a Firenze, l’insubordinazione (doveva tirare Pulisic) raccontata da Fonseca, l’aggravante dell’espulsione finale per proteste dell’iracondo Theo e il durissimo sfogo dell’allenatore a Milanello. Il concetto è chiarissimo: chi sbaglia paga. E siccome Hernandez si è fatto fuori da solo con i due turni di squalifica, pagherà innanzitutto Abraham, sostituito da Morata, che avanzerà da trequartista a centravanti e verrà rimpiazzato in rifinitura da Pulisic: “Io non chiudo gli occhi sui problemi, magari in altre squadre si sanno di più: li ho affrontati guardando tutti negli occhi. Non ostento la mia liderança, non sono un attore. Le cose le dico in faccia nello spogliatoio. Se abbiamo un problema, non me ne frega niente del nome del calciatore: mi confronto direttamente con la squadra o con i giocatori che hanno sbagliato”.
Leao si è dichiarato “incompreso” con la stampa portoghese
Liderança sta ovviamente per leadership. Per il resto la traduzione dal fonsechese, miscellanea italo-lusitana scandita con passione, potrebbe postulare una nuova panchina per Leao. Il paradosso del paradosso, oltre alla falcidie dei capitani inaugurata da Calabria, è che il numero 10 del Milan, presso la stampa portoghese, senza troppi giri di parole si è appena dichiarato incompreso da chi parla la sua stessa lingua, cioè dal connazionale Fonseca, e ha invece esibito afflato col ct, lo spagnolo Martinez: “Quando gioco nel Portogallo, sento la fiducia del tecnico”. Ergo: non la sente quando gioca nel Milan.
Imperversa dunque il dibattito sulla questione: tenere fuori il migliore calciatore della rosa (“il più forte dribblatore con cui io abbia mai giocato”, per l’ex compagno Kessié) sarebbe un atto di puro autolesionismo o una mossa necessaria per scuoterlo, visto il precedente di Roma, quando Leao segnò il gol del pari?
Il Barcellona pronto a spendere 100 milioni per Leao
I numeri alimentano il dubbio. Col Portogallo (35 presenze, 4 gol) il talento è sempre più evidente, ma non ancora totalmente limpido. Col Milan in questa stagione (7 presenze in campionato e 2 in Champions, 1 gol fatto e 4 provocati) è piuttosto opaco, soprattutto nelle partite più importanti: si sussurra di inquietudini personali fuori dal campo, che ne condizionerebbero il rendimento. Altri numeri, quelli del dossier di Washington Harbour diffuso per potenziali investitori di 150 milioni delle quote di RedBird e rivelato da Repubblica, spiegano che nelle proiezioni del management del club, in 4 anni e mezzo, il valore del calciatore è cresciuto del 323%, toccando il tetto dei 100 milioni: la cifra che, secondo il Mundo Deportivo, il Barcellona sarebbe disposto a spendere per lui. Fonseca non fa nomi, però punge: “Per me nessun calciatore è più importante della squadra. Bisogna prendersi le proprie responsabilità, quando si sbaglia. E se qualcuno sbaglia in questo spirito di squadra, per me è difficile”. Lo è anche per Ibrahimovic, Furlani, Moncada e Cardinale: tra dirigenti in carica e superconsulenti, i tifosi, per non sbagliare, se la prendono con tutti.