Le modalità inutilmente umilianti dell’esonero di Paulo Fonseca, che viene mandato a commentare la partita ignaro di un provvedimento che tutti quanti gli stanno attorno già conoscono, completano la pessima prova che la dirigenza del Milan ha dato di sé in questo lungo autunno di sfiducia palese nell’allenatore. L’esonero in sé non è sorprendente, perché i risultati mancano in maniera clamorosa e la stessa buona classifica di Champions non si deve a una serie di prestazioni particolarmente convincenti. Colpisce l’intera gestione della vicenda, con segnali di distacco fra allenatore e società che datano addirittura dai giorni in cui la trattativa si stava chiudendo, ed emersi in modo chiaro nei momenti in cui la debolezza di Fonseca si scontrava con la fronda nello spogliatoio (che in un clima di divisione come sempre prospera).
Un passo indietro alla partita porta a una riflessione. Milan e Roma ne avevano combinate troppe perché una sola partita potesse riscattare il pesante pregresso. Però ci hanno provato, e con tutti i limiti di due squadre imperfette e in alcuni ruoli decisamente modeste, il loro duello è stato appassionante, un braccio di ferro illuminato da una prestazione straordinaria di Paulo Dybala — nessuno pensa più di spedirlo in Turchia — in risposta alle travolgenti ripartenze del Milan. Se è finita soltanto 1-1 la responsabilità è di chi alla fine tira in porta, e lo fa male.
La Juventus non ha vinto come meritava
Salendo di un piano in classifica, il terzo 2-2 casalingo consecutivo della Juventus è molto diverso dagli altri due, ottenuti in estrema rimonta a evitare sconfitte meritate con Bologna e Venezia. Per quel poco che vale il concetto di giustizia su un campo di calcio, stavolta la Juve avrebbe dovuto vincere per la prestazione ricca di gioco, energia e occasioni per chiudere il match. Anche se i numeri dicono chiaramente che il 4-4 della gara con l’Inter ha diviso il campionato bianconero in un “prima” blindato ma noioso e un “dopo” più frizzante ma meno controllato, non è giusto nemmeno dire che la Juve si sia fatta riprendere dalla Fiorentina per una sorta di allegria difensiva: il gol finale di Sottil arriva in seguito a un infortunio di Cambiaso, che scivola, non a un errore di posizionamento. Di più: quando Kean serve a Sottil la palla vincente, in area ci sono otto giocatori della Juve. Insomma, pura casualità che la Viola ha sfruttato con suprema freddezza, ma in coda a una gara in cui l’impatto di De Gea era stato più rilevante del solito. Ne consegue che la corsa al quarto posto, tenuto con sicurezza dalla Lazio, potrebbe riammettere anche il Bologna.
Il gol di Raspadori ispira dolci ricordi
Guardando ancora più in alto, la terza gamba del tavolo scudetto, quella del Napoli, ha traballato parecchio prima di venire fissata con altri tre chiodi al suo destino ambizioso. Il fatto che a spezzare quello che pareva ormai un incantesimo sia stato Raspadori ha riportato alla mente il sospirato 1-0 di Jack all’89’ di Napoli-Spezia, sesta giornata del trionfale torneo di due anni fa. Raspadori entrò nella foto scudetto giocando 902 minuti e segnando 2 reti, quantità salite (1572’/5) nella scorsa stagione, ma drammaticamente crollate quest’anno, col primo gol arrivato a fronte di soli 274’ in campo, e siamo ormai a metà del cammino. Ha senso che un attaccante della Nazionale giochi così poco? Siccome la risposta non può che essere negativa, Conte valuta da tempo un cambio di ruolo che l’assenza di altri test (che perdita la coppa Italia) ha complicato. Raspadori, da poco subentrato ad Anguissa, ha colpito dalla posizione di centravanti, ma partendo alle spalle di Lukaku in un reparto ridisegnato dal (necessario) cambio Politano per Kvara con spostamento di Neres a sinistra (dove deve stare): un equilibrio spinto verso l’estremo, ma se il tuo obiettivo è lo scudetto al 79’ di uno 0-0 casalingo col Venezia ci devi provare in ogni modo, accettando i rischi connessi.
L’Inter favorita per lo scudetto
La vittoria ha permesso a Conte di agganciare Gasperini, uscito dalla sfida alla Lazio – splendida, ma per un tempo – con sentimenti contrastanti: l’Atalanta aveva quasi perso, e quindi il pari porta un buon punto, ma è vero che se avesse concretizzato prima la sua ottima riscossa probabilmente avrebbe vinto, e quindi il rimpianto c’è. C’è soprattutto la consapevolezza che l’Inter abbia ora il set point del titolo d’inverno – anche se vincere a Firenze non è certo un automatismo – e che il modo ineluttabile col quale ha regolato il Cagliari la confermi nel ruolo di primissima favorita.