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Franco Baresi: “Pizzul ha raccontato le mie lacrime. A Pasadena era affranto più di noi”

Intervista all’ex difensore del Milan e della Nazionale: “Era della scuola di Martellini, sapeva come esaltare la bellezza del gesto tecnico. Le sue domande erano sempre misurate, sentivamo che era dalla nostra parte”

«E vedete queste scene, Baresi piangente abbracciato dal nostro commissario tecnico. E ballano, ballano i brasiliani». La notte italiana, in un’estate di 31 anni fa, ci regalò le lacrime del capitano e la voce affranta di Bruno Pizzul. Era il 17 luglio 1994, a Pasadena gli azzurri di Sacchi avevano appena perso ai rigori la finale del Mondiale americano, quella in cui Baggio tirò sulla luna, certo, ma anche quella che Baresi giocò da campione al rientro dall’intervento al ginocchio, prima di fallire, pure lui, un tiro della serie finale, il primo.

Una partita e un mese come romanzo, Franco Baresi.

«Con quella voce calda, emozionante a ripensarci e a risentirla ora, che non la sentiremo più».

Continueremo a sentirla, però, raccontare di lei e di quando, allora, si ruppe il menisco e in venti giorni tornò a giocare la finale di Usa ’94.

«Mi onora di aver avuto la voce di Bruno lungo tutta la mia carriera. Ha raccontato tutte le mie partite chiave, compresa quella finale maledetta del ’94. E sì, quel recupero fu prodigioso, storico, non ho ancora trovato l’aggettivo giusto. Giocai una delle gare più belle della mia carriera. E tirai il mio rigore più brutto».

Ne aveva tirati diversi, è vero.

«Quattro anni prima con l’Argentina, segnato. C’era Bruno anche allora. Altra partita-romanzo, altro dramma nazionale».

Cosa vi disse Pizzul dopo la finale di Pasadena?

«Ci siamo trovati il giorno dopo, era affranto come e più di noi. Era un uomo di sport, era stato calciatore, capiva le dinamiche anche psicologiche di una partita, del prima e del dopo: mai sopra le righe, conduceva interviste sempre misurate, sempre mettendosi dalla nostra parte, ed è la cosa più bella e importante che un giornalista possa fare. Mi chiese come avessi fatto a recuperare così velocemente dall’infortunio al menisco, era stupito. Mi è capitato di riascoltare quella telecronaca. Da brividi dal primo all’ultimo minuto».

E oltre, fino a quelle lacrime.

«Fu un’esplosione normale, umanissima, dopo un mese pieno di cose incredibili, con un gruppo composto da persone di grande spessore umano».

Cosa la colpiva del Pizzul telecronista?

«La capacità di sottolineare la bellezza del gesto: quando alzava la voce era per sottolineare qualcosa che meritava di emergere dalla linearità del commento. Era della scuola di Martellini, era bello così».

Che ricordo ha della finale 1989 di Barcellona tra Milan e Steaua, la sua prima Coppa Campioni?

«L’esodo dei milanisti al Camp Nou: lo stadio era tutto per noi. Una partita dominata, bellissima. Peccato che non giocai invece la finale contro il Barça ad Atene, cinque anni più tardi. Altro 4-0, con quel gol prodigioso di Savicevic».

“Eccezionale prodezza che ci lascia di stucco”, disse Pizzul.

«Davvero. Sono ricordi incancellabili, incorniciati dalla voce più bella che abbia mai raccontato lo sport italiano. Una voce amica e cara. Per noi, per tutti gli italiani».

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