Ringhia parecchio anche lui, Francesco Gattuso, portiere della Sanremese (serie D) e cugino del cittì azzurro, quando deve dare ordini alla difesa oppure tuffarsi in quella vita spericolata che sono le uscite tra i piedi degli avversari. Il ragazzo è nato a Corigliano Calabro, provincia di Cosenza, stesso paese di Rino, il 7 aprile 2005, e del cugino (che da sempre chiama “zio”) ha lo stesso orgoglio calabrese.
Francesco, cosa si sente di dire a Rino che sta per debuttare alla guida della Nazionale?
“In bocca al lupo, che poi è la stessa cosa che ha detto lui a me. E il lupo, senza offesa, noi ce lo mangiamo”.
Dicono che lei sia un Gattuso in tutto e per tutto.
“Modestamente, credo di sì. Non ho paura di niente, e quando Alex Del Piero è venuto a vedere la Sanremese dove gioca suo figlio Tobias, gli ho detto: facciamoci una bella foto con la bandiera della Calabria”.
E lui?
“L’ha fatta. Ormai è calabrese ad honorem”.
Ma perché lei fa il portiere e non il mediano?
“Da piccolo correvo dietro al pallone, come tutti, ma era un gran casino. Ho provato tra i pali, sono alto. Mi divertivo di più”.
Nel ruolo, a chi assomiglia?
“Un poco a Vicario. Penso di essere completo: bravo tra i pali e con i piedi. Oggi non se ne può fare a meno. E sono coraggioso”.
Il cognome le pesa?
“Lo porto con serenità e orgoglio, so di avere qualcosa di importante sulle spalle: una responsabilità. Ma non dimentico che Gattuso si chiamano anche mio nonno e mio padre, non soltanto mio cugino. La famiglia conta più di tutto”.
Chi è, per lei, Rino Gattuso?
“Una persona fantastica che ha sempre fatto bene, e sarà così anche in azzurro. Mio nonno è il fratello di suo papà. Rino lo chiamo zio e lo rispetto da sempre”.
Da ragazzino le avrà dato un sacco di consigli.
“Veramente, non tanti. Mi ripeteva di seguire la mia strada e divertirmi, e che il calcio è un gioco”.
Rino Gattuso è passato alla storia per la sua cattiveria agonistica.
“Condivido: nello sport bisogna essere cattivi, nel modo giusto. Le partite si cominciano a vincere nel tunnel, prima del fischio d’inizio: conta come guardi gli avversari”.
Lei parla in dialetto?
“Quando è possibile, sempre. E’ un senso di appartenenza. Mai dimenticare da dove veniamo, perché questo dice chi siamo. Sono un terrone fiero di esserlo, perché ho sempre fame e non mi accontento”.
Nella Sanremese giocano pure il figlio di Del Piero e quello di Djorkaeff: non sarete mica una squadra di raccomandati?
“Venite a vederci e capirete. Oan Djorkaeff è un po’ più vecchio di noi e ha esperienza, Tobias è umile, tranquillo, serio e pieno di talento. E io sono io. Andiamo molto d’accordo. La serie D è il campionato più formativo di tutti”.
Allora non resta che aspettare Italia-Estonia con Rino Gattuso a ringhiare in panca.
“Forza azzurri! Tra l’altro, sono anche i colori della Sanremese”.