Questo sito contribuisce alla audience di
 

“Gaucci, le preghiere e il vhs dato a un venditore di tappeti”. Ali Samereh, un iraniano a Perugia

Dal ritiro in Austria al debutto a San Siro, l’ex attaccante racconta la sua breve avventura italiana. L’arrivo in serie A, le parole di Cosmi, il rapporto con la nazionale di Teheran e quel rimpianto: “Sarei voluto restare, ma ogni volta che tornavo trovavo la squadra cambiata”

«Durante il ritiro alcuni fumavano. Chiesi a mister Cosmi se fosse permesso. Mi rispose: “Se giochi bene puoi fare quello che vuoi”». Ali Samereh è un nome che a Perugia ha il sapore di leggenda estiva. Classe 1977, fu uno dei tanti colpi “esotici” del presidente Luciano Gaucci: attaccante iraniano, lo portò in Italia nell’estate 2001 grazie a una videocassetta recapitata da un venditore di tappeti. Nelle amichevoli del ritiro in Austria impressionò al punto che Serse Cosmi arrivò a paragonarlo a Pippo Inzaghi. Poi però il sogno svanì, e la sua esperienza in serie A durò appena qualche mese. Oggi Samereh è uno dei volti più esperti del calcio iraniano: ha allenato diverse squadre tra cui l’Esteghlal Tehran e la nazionale B, è stato manager e vice nella massima serie. Vive a Teheran, si occupa di gestione tecnica e sportiva, ed è pronto per una nuova avventura.

Che ricordo ha dell’estate in cui arrivò in Italia?

«Avevo quasi 23 anni ed ero arrivato in uno dei Paesi più belli. Il campionato italiano, all’epoca, era uno dei migliori al mondo, pieno di stelle. Per me era tutto molto affascinante, e ringraziai Dio per la fortuna di essere diventato un calciatore proprio lì».

Certo, il salto dall’Iran all’Italia fu difficile.

«La mancanza di conoscenza della lingua rese tutto molto difficile e influenzò il mio rendimento. Devo ringraziare Fabio Grosso, perché era l’unico italiano che parlava inglese all’epoca, e mi aiutò moltissimo».

Com’è nato il suo trasferimento al Perugia? È vera la storia del venditore di tappeti?

«All’epoca ero “Mister Gol” in Iran. Un giorno, il signor Hashemian — che era commerciante di tappeti persiani in Italia — mi chiese di portargli un video con i miei gol. Così feci».

Poi cosa successe?«Cosa successe dopo quella cassetta non lo so. Ricordo che ero in ritiro in Austria, con la mia nazionale, per preparare le partite di qualificazione al Mondiale e il Perugia venne a trovarmi per visionarmi dal vivo. Dopo pochi giorni firmai il contratto con il Perugia».

Nel ritiro estivo aveva convinto tutti, alla prima di campionato partì titolare a San Siro contro l’Inter. Che ricordi ha di quella partita?

«Fu un’emozione incredibile. Giocare in Italia, davanti a 80 mila spettatori in uno stadio che ha fatto la storia del calcio. Non lo dimenticherò mai».

Poi però sparì dai radar, cosa successe?«All’inizio della stagione, dovetti tornare più volte in Iran per le qualificazioni asiatiche con la nazionale. Durante questi viaggi, la squadra diede fiducia a un altro giocatore che arrivava dalla serie B italiana che si comportò molto bene (Christian Bucchi, ndr). Praticamente non giocai più, ero diventato la sua riserva. Non riuscii a dimostrare il mio valore».

Qual è il primo episodio che le torna in mente pensando a quei mesi?

«Durante il ritiro di squadra, alcuni giocatori fumavano. Mi colpì il fatto che un atleta lo facesse apertamente davanti a tutti. Chiesi all’allenatore se fosse consentito fumare e mi diede una risposta strana: “Non ci interessa cosa fanno i giocatori. A noi importa che si allenino bene e rendano al massimo in partita. Se fanno qualcosa di non convenzionale, è una scelta loro”. Mi colpì molto».

Di Loreto raccontò in un’intervista che lei era solito dormire per terra.

«Non dormivo per terra, usavo il letto come tutti. Ero solo in preghiera, con Dio, nei miei momenti di raccoglimento».

Cosa le ha lasciato quell’esperienza italiana?

«Fu un’esperienza bellissima per me. Imparai tanto, diventai più maturo. In seguito fui ceduto negli Emirati Arabi Uniti: in cinque anni giocai 85 partite e segnai 65 gol. Fu una cosa molto positiva per me».

Ha un rimpianto legato a quell’anno a Perugia?

«Se tornassi indietro, sceglierei di non rispondere alle convocazioni della nazionale. Avrei dato tutto per impormi in Italia. Quelle continue partenze hanno complicato tutto: ogni volta che tornavo, trovavo la squadra cambiata e il mio spazio ridotto. Alla fine ho perso la possibilità di giocare, ma anche molto dal punto di vista economico. C’erano ricchi premi per le presenze e i gol».

Oggi com’è la situazione in Iran, anche dal punto di vista sportivo?

«Purtroppo il nostro Paese è coinvolto in una guerra, e questo ha avuto un impatto molto negativo sia sul calcio che sul Paese intero».

Lei è stato uno dei primi iraniani in serie A. Che effetto le fa vedere oggi alcuni suoi connazionali come Azmoun e Taremi imporsi a livello internazionale?

«Sono felice che calciatori come Sardar, Rahman e Taremi ce l’abbiano fatta. In Iran abbiamo molto talento, ma purtroppo sono in pochi a riuscire ad arrivare anche solo a Beirut».

Cosa intende?«Beirut rappresenta una delle prime porte verso l’estero per un calciatore iraniano. È una destinazione di passaggio, culturalmente e calcisticamente più accessibile rispetto all’Europa. E per tanti calciatori è difficile anche arrivare in Libano».

Segui tutte le ultime notizie di sport

Next Post

Manchester United won't sell unwanted players on the cheap - Amorim

Sab Lug 26 , 2025
Alejandro Garnacho, Antony, Jadon Sancho and Tyrell Malacia were all left out of United's pre-season tour

Da leggere

P